GENERAZIONE F Ho fatto un sogno a dir poco bizzarro

di Minnie Luongo –  Direttore responsabile

 

Non serve aver seguito corsi di meditazione per sapere che  la mente si può comandare. Almeno ciò  è quanto ci viene detto. Con difficoltà ed impegno ci si può anche riuscire. Almeno durante il giorno, quando siamo svegli e concentrati. Ma la notte è possibile tenere a bada i sogni? La mia esperienza dice che no, a meno che prima di addormentarsi si faccia un preciso e costante esercizio propedeutico per indirizzare i nostri pensieri. Ma questo è un discorso che ci porterebbe fuori dal seminato.

Per la sottoscritta, e credo per la maggioranza delle persone, dormendo la mente vaga e va dove vuole. A questo proposito mi ha colpito un sogno davvero bizzarro fatto poche notti fa. Ho anche un po’ di pudore a raccontarlo, perché potrei essere presa per matta. Premesso che non mi ero fatta di nulla (sostanze, alcol o altro), raccolgo tutto il mio coraggio e vado ad esporlo.

Ho sognato dunque che mi svegliavo a fatica e pur amando a dismisura la mia Holly, invidiavo chi si può permettere di delegare qualcuno a portar fuori il proprio cane la mattina ad espletare le prime necessità fisiologiche, così da girarsi dall’altra parte del letto e prolungare il sonno. Macché, la vescica di Holly giustamente reclamava mi dessi una mossa e così, lavati velocemente i denti e data una sciacquata alla faccia, aprivo la porta di casa, ripromettendomi di dedicarmi alla doccia al ritorno. Prima improrogabile sosta al bar di fianco al mio appartamento (condividiamo le stesse mura e purtroppo anche lo stesso profumo di una quantità industriale di frittate che lo chef si porta avanti a cucinare appena arrivato in negozio, alle otto del mattino). Qui solita bolgia di impiegati, avvocati del vicino Tribunale, commesse, studenti … tutti ammassati al bancone senza quasi permettermi di raggiungere il tavolino preferito: l’ultimo d’angolo, con le spalle al muro, da cui posso permettermi di ottenere qualche centimetro di  lontananza dalla gente e da cui, attraverso la vetrata, posso anche dare un’occhiata alla marea delle persone che si affrettano a raggiungere il posto di lavoro. Assieme a biciclette, monopattini, ragazzi con zaini in spalla, runners. Tutti indistintamente a fare slalom sul marciapiede, incuranti dei vari improperi dei pedoni che vorrebbe camminare senza guardarsi di continuo alle spalle per preservare la propria incolumità.

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Mentre il mio sguardo si posa sul ragazzo di fronte che chiede l’elemosina- stessa postazione, stessi orari da mesi e mesi- al di là del fiume di auto e bus in coda che assordano con inutili clacson per far accelerare il veicolo davanti, vedo che faticosamente stanno facendosi largo, camminando sulle strisce pedonali (ignorate dai più), gli amici che spesso si uniscono a me per il caffè e soprattutto per scambiare due chiacchiere. Entrati nel bar Paola, Paolo e Rosanna, soliti baci e abbracci e poi giù con parole e polemiche (per lo più provocate ad arte da Paolo) e innocui pettegolezzi …

Diamo un’occhiata all’orologio e ci accorgiamo di quanto sia tardi: lavoro e commissioni non possono aspettare. Paolo riprende la bicicletta o l’auto (dipende dal tempo), noi femminucce ci avviamo veloci a piedi, spesso a braccetto,  a fare la spesa. Dio mio, ma quanti clienti ci sono oggi al supermercato? Appiccicati l’uno all’altro in coda alle casse, sbuffo infastidita per tutta questa umanità che mi alita sul collo.

Lasciata a casa Holly, riesco a prendere al volo il mezzo che mi permetterà di raggiungere la persona che devo intervistare. Nonostante non sia ora di punta, la 94 è zeppa come di consueto e sperare di trovare un posto a sedere è un’utopia. A malapena scendo alla mia fermata, come sempre travolta dai tanti che ancora non hanno capito che bisogna dare la precedenza ai passeggeri che scendono,  prima di salire a loro volta.

Dopo l’appuntamento di lavoro torno a casa di corsa, recupero Holly e con lei vado a fare la tinta dal mio parrucchiere di una vita, Osvaldo. Per fortuna ho solo un paio di persone prima di me; quindi ne approfitto per andare a mangiare qualcosa in uno dei bar vicini. C’è solo l’imbarazzo della scelta, tanti ce ne sono in zona. Scelgo quello meno affollato e poi torno da Osvaldo per coprire la spropositata ricrescita di capelli bianchi (come si farebbe senza parrucchieri? Non oso neppure pensarci.)

A questo punto porto al parco a correre Holly, felice come sempre  di scorrazzare con i suoi simili, piccoli o grandi che siano. Io mi soffermo a far le solite chiacchiere e rispondere alle inevitabili domande di altri proprietari di cani(Come si chiama il suo? Quanti anni ha?). A dir la verità vorrei godermi in pace e in solitudine questa pausa, ma non posso sottrarmi a socializzare, e pertanto faccio buon viso a cattivo gioco e mi unisco ai numerosi padroni di pelosi che fanno capannello.

E adesso un aperitivo organizzato al volo con tre amiche: Paola, Monica e Antonella. Baci e abbracci come se non ci vedessimo da una vita, ma io sono una “fisica” e non rinuncerei per nulla al mondo alle effusioni con amici e amiche. E prima di salutarci, strette al massimo per rientrare nell’inquadratura, il selfie di rito.

Ora il senso del dovere mi suggerirebbe di mettermi al computer a scrivere l’editoriale della mia rivista Generazione Over 60, ma ho una cena fissata da tempo. A dir la verità preferirei passare la serata sdraiata sul divano a godermi la Tv, ma non posso proprio dare buca. Insperatamente suona il cellulare e vengo a sapere che la cena è rimandata alla prossima settimana. Sorridendo sollevata fra me e me, commento: “Ma sì: un giorno vale l’altro. Possiamo fare quando vogliamo. Abbiamo davanti tutto il tempo che desideriamo”.

Bene. Riapro l’uscio di casa e mi sento  felicemente stanca, dopo tutti i chilometri fatti durante la giornata per rispettare i vari impegni. Sai che faccio, anzi? Spengo il cellulare. Ho bisogno di restare in casa, in piena solitudine, a gustarmi per l’ennesima volta il film “Chicago”, ricordando il mio ultimo viaggio un anno fa a New York, quando a Broadway  ero andata ad ascoltare l’omonimo musical. Non vedo l’ora di prendere un aereo, se non per NY, per qualsiasi altra destinazione: la mia passione per i viaggi è un’esigenza connaturata  e mai soddisfatta a sufficienza.

Domani mi piacerebbe tanto restare a casa senza dover uscire per almeno 24 ore, ma ho un treno da prendere per Brescia e per evitare di puntare la sveglia alle sei ci vorrebbe un’epidemia o qualcosa di simile. Sorrido a tal punto nel sogno per quest’idea stravagante, tanto da svegliarmi.

Ma che razza di sogno bizzarro ho mai fatto? Metto su la moka, mi lavo accuratamente, specie le mani, mi bardo con la consueta  mascherina e i guanti d’ordinanza, pronta a percorrere con Holly  quei duecento metri scarsi consentiti sul marciapiede davanti a casa. E intanto ripenso alle stranezze della mente e all’assurdità di certi sogni. Ma da che cosa mai scaturiranno vagheggiamenti di questo tipo? Certo, se avessi bisogno della trama per scrivere un libro di fantascienza l’avrei già bell’e pronta …

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Ma alcune foto scattate col cellulare mi riportano subito alla realtà: il mendicante con la mascherina(prontamente invitato dalle forze dell’ordine ad allontanarsi), i cartelli posti all’ingresso dei pochissimi negozi aperti, l’immagine del viale deserto che conduce alla Stazione Centrale.

A questo punto, approfitto per immortalare Holly che con me sul divano, come sempre, trascorre praticamente tutta la giornata. E mentre inizia la mia serie Tv preferita, sorrido ancora ripensando allo strano sogno. Chissà se avrà un sequel  in questa notte che mi aspetta. Forse potrei immaginare di andare al ristorante e poi addirittura al cinema … Oddio, che la demenza senile inizi così?

Minnie Luongo

 

 

 

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