
Ho sempre diffidato di chi dice di non guardare la televisione. Più o meno come di coloro che non amano gli animali. Oggi, tuttavia, basta un cellulare per essere aggiornati su telegiornali e quant’altro e quindi il discorso è diverso.
Ma il piacere di spaparanzarsi sul divano dopo una giornata di lavoro a seguire la serie tv preferita dove lo mettiamo? Scherzi a parte, la televisione in casa mia è entrata prestissimo e così ho seguito ogni programma possibile (da me non vigeva il coprifuoco dopo Carosello): dalle commedie in genovese di Gilberto Govi a quelle in napoletano di Eduardo De Filippo, trasmesse rigorosamente in diretta.
Allo stesso tempo mi scioglievo davanti a tutti i programmi musicali, allora raffinatissimi e curati in ogni dettaglio: Studio Uno, Canzonissima, Senza Rete, Milleluci (1974), con la splendida coppia Mina/ Raffaella Carrà … e naturalmente il Festival di Sanremo, che mi diede la possibilità di innamorarmi di un Bobby Solo truccato con tanto di quel mascara da far gridare allo scandalo. Erano proprio altri tempi. Del resto, sono talmente agée da ricordare ancora le puntate de Il Musichiere con Mario Riva…
Né perdevo ogni serie di polizieschi. Confesso: ho amato a tal punto Perry Mason che alla prima puntata di ogni stagione “ brindavo”: su un vassoio portavo due bicchieri d’acqua (per me e per mio nonno, rigorosamente astemio), più uno con due dita di vino per mia nonna. I quali, mentre andava la sigla d’apertura (indimenticabile!), aspettavano la solita cerimonia, fingendosi stupiti ogni volta al mio ingresso in sala…
E con Ketty, la mia amica del cuore, passavamo i pomeriggi inventandoci episodi di Perry Mason dove io interpretavo- guai a sottrarmelo!- il ruolo di Della Street (alias Barbara Hale), la fedelissima segretaria dell’infallibile avvocato difensore. E innamorata di lui, più o meno segretamente.

In alternativa interpretavamo le gemelle Kessler: io ero Ellen, Ketty era Alice: non essendoci ancora modo di vedere le registrazioni, osservavamo con attenzione maniacale ogni movimento delle due ballerine tedesche. Al punto da ritenere che Da-da-un-pa lo sapremmo tuttora cantare e ballare a memoria senza sforzo.

Per la “Tv de ragazzi” non avevo tempo né mi interessava, preferendo da subito quella rivolta gli adulti. E’ ovvio che, cinefila da sempre, non mi lasciavo scappare nessun film e durante la Fiera Campionaria di Milano (allora i programmi avevano un orario d’inizio e uno di fine) eccezionalmente, per una settimana, al mattino (mi sembra alle 10) proiettavano un film (a sorpresa: poteva essere un western come una commedia sentimentale) che mia nonna ed io, sedute come fossimo al cinema, ci pregustavamo già appena sveglie. Confesso: per quella settimana bigiavo la scuola, ma la giustificazione, agli occhi di mia nonna per prima, era più che valida.
Per quanto riguarda la radio, l’ascoltavo prevalentemente quando ero a letto influenzata: ricordo “Chiamate Roma 3131”, trasmissione storica che rappresentò il primo tentativo nel nostro Paese di contatto diretto e senza filtri fra l’ascoltatore e il mezzo di comunicazione. E come dimenticare “Buon pomeriggio”? Già il titolo era una novità. Allora i saluti fra comuni mortali si riducevano a due: buongiorno e buonasera; niente bona giornata, né salve nè tantomeno buon pomeriggio. Conduttori e ideatori del programma erano Dina Luce e Maurizio Costanzo, allora poco più che trentenne (che, grazie al fascino misterioso della radio, qualcuno di noi pensava assomigliasse a Brad Pitt..) .
E poi c’era il grido Hit Parade, che preannunciava la trasmissione condotta dal 1967 al 1972 dal grande Lelio Luttazzi, ogni venerdì alle 13 in punto e ascoltata da una media di 5 milioni di persone: andavano in onda gli otto singoli (45 giri) più venduti della settimana, secondo le rilevazioni della Doxa nei negozi di quaranta città italiane (almeno così veniva detto, ma perché non crederci?).
Ma fu Alto Gradimento a dare una svolta alla vita di noi ragazzi (e non solo): al timone Gianni Boncompagni e Renzo Arbore (ideatori della trasmissione assieme a Giorgio Bracardi e Mario Marenco). Ogni puntata era caratterizzata dalla totale assenza di un filo logico, con frequenti interruzioni dei brani musicali, battute varie e ricorrenti interventi surreali, nonsense di ogni genere.

Se i nomi Scarpantibus, professor Anemo Carlone, prof Aristogitone, colonnello Buttiglione, Sgarrambona non vi fanno fare un sussulto e rimpiangere quei tempi, spiacente, non avete vissuto appieno la Generazione F. E se all’Università Statale, in qualche cortile si creava all’improvviso un gruppo di ragazzi che si sbellicavano dalle risate, siate certi: stava andando in onda Alto Gradimento, con il pastore abruzzese che cercava i suoi pecuri, oppure c’era il monologo del ladro napoletano Pasquale Zambuto.
E arriviamo ai social. Dico la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità…Mai avrei pensato di iscrivermi a Facebook o di entrare nel mondo dei social; mi sembrava cosa a dir poco infantile “chiedere a qualcuno l’amicizia” (magari alle tante persone in carne e ossa che frequento regolaemente). Era un po’come domandare ”Bambino/a, vuoi diventare mio amico/a?” Ma dai…
Poi successe che ebbi l’idea di fondare questa rivista. Un progetto che mi appassionò da subito, e che coinvolse tanti amici e colleghi che, gratuitamente, offrirono il loro prezioso contributo come collaboratori. Tutto perfetto, ma i soldi per pubblicare in modo cartaceo il magazine, dove trovarli? L’unica possibilità a quel punto era mettere Generazione Over60 on line.
Così feci e fu una mossa vincente…e sorprendente. Mi si aprì un mondo e scoprii che i social non erano riassunti nel domandarsi a vicenda un’amicizia. Il resto, cari lettori e followers, se siete arrivati a leggere fin qui, lo sapete: il prossimo 11 dicembre compiremo 4 anni e il successo del magazine lo dobbiamo a chi ci segue. Su Facebook, sul blog, sulla piattaforma Issuu, su Instagram…
Per quanto riguarda le mie esperienze in prima persona con televisione e radio, la mia convinzione, rafforzatasi con gli anni, è nel titolo di questo Editoriale: Amo guardare la tv. Quanto alla radio…adoro farla. Ma questa è un’altra storia…
Minnie Luongo