Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

E’ un libro di scienza, questo scritto da Arnaldo D’Amico, medico e giornalista, per raccontare la scoperta del sistema immunitario. Ma si legge come un romanzo che parla di guerre, di avventure e di viaggi, come se Salgari avesse momentaneamente abbandonato i suoi pirati per raccontare avventure che si svolgono nei laboratori o nelle aule universitarie. Quello che propone l’autore è un vero e proprio viaggio attraverso le epidemie che hanno colpito la nostra specie fin dalla notte dei tempi. Un’occasione per ricostruire le ragioni – storiche, politiche, geografiche – che ne hanno favorite la diffusione e le intuizioni che hanno contribuito a debellarle ma anche le difficoltà ad affermare le intuizioni della scienza .
Scopriamo così, per esempio che a salvare l’Europa dalla peste – ancora presente in diverse zone del mondo – è stata la sparizione dei ratti neri che trasmettevano il contagio, sostituiti da una specie più resistente di ratti grigi, le cui pulci però sono meno aggressive nei confronti degli umani rallentando la diffusione della malattia. E ripercorriamo l’avvento delle norme igieniche, come la diffusione del sapone, di cui Pasteur fu un illustre sostenitore, o l’attenzione per gli acquedotti che segna – con le ricerche di John Snow a Londra- la nascita della disciplina che oggi chiamiamo epidemiologia.
Il racconto comincia con lo scorbuto, un’epidemia anomala debellata da un’alimentazione corretta prima ancora di scoprire le vitamine la cui carenza era la vera causa del male. Per poi proseguire con i diversi flagelli, dalla peste – e non si può non parlare della Colonna Infame – alla lebbra al colera. Per chi pensasse che la pandemia da cui stiamo uscendo sia stata un flagello senza precedenti, è l’occasione per mettere le cose in prospettiva: le epidemie da milioni di morti purtroppo non sono una novità, e non lo sono neanche le resistenze alle innovazioni. I no vax esistono da quando si è cominciato a parlare di vaccino, e nel tempo ci sono stati anche quelli che si sono opposti all’idea che le malattie fossero causate da microorganismi che i primi microscopi permettevano di cominciare a studiare, e non da miasmi o mal aria”. D’Amico racconta i medici calunniati -come Vesalio nel sedicesimo secolo – per aver tentato di affermare il metodo scientifico e combattuto pratiche come il salasso che ha fatto da solo più vittime di molte epidemie. Sono loro i protagonisti di questo libro insieme ad aristocratici, viaggiatori e avventurieri, perché la storia delle epidemie è anche, lo scopriamo qui, la storia dell’umanità.

Un quadro in cui il sistema immunitario e la scoperta della sua capacità di ricordare i patogeni con cui è venuto in contatto entra in scena tardi. Siamo a oltre metà del volume, e agli inizi del ‘900, quando arrivano i nostri – i tedeschi Emil von Behring e Paul Ehrlich – e l’immunologia comincia ad affermarsi come una disciplina da Nobel A questo punto non resta che raccontare la più difficile delle battaglie, quella contro la malaria che ancora oggi è tutt’altro che conclusa. E che, nell’Italia d’inizio ‘900, ci aiuta a riflettere su quanto sia importante, per il successo di una campagna di prevenzione, tenere in considerazione le esigenze dei pazienti e il loro stile di vita: ricordando per esempio che è inutile indicare orari di somministrazione di un farmaco a persone che non hanno orologio. E poi c’è la battaglia vinta, quella contro il vaiolo, di cui D’amico racconta i primi tentativi di variolazione – Jenner è solo uno dei protagonisti – rappresentante di un movimento assai più vasto . fino ai recenti dubbi sull’opportunità di mantenere il virus nei laboratori per far fronte a possibili nuove epidemie. Perché non c’è dubbio che la globalizzazione, la sovrappopolazione e la distruzione degli ambienti naturali continueranno a metterci in contatto con nuovi patogeni, e che nei laboratori si continuerà a lavorare per sostenere il nostro sistema immunitario con armi efficaci.
