Nuove routine

La scoperta, a 60 anni, di una pressione arteriosa che richiede una pastiglietta quotidiana. Lo racconta così, con atteggiamento tra l’incredulo e lo spaventato, l’autore dell’articolo. Senza mai venir meno alla consueta ironia e autoironia

 Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico

Due sbalzi di pressione. Del primo me ne sono accorto perché la persona con cui stavo parlando mi ha detto di muovere l’occhio verso sinistra e poi “Ti sei visto?”. Mi sono andato a vedere e una vena era scoppiata. Per cui ho introdotto l’attenzione alla colonnina di mercurio l’inizio del giorno. “Misuri sempre alla stessa ora la pressione per una decina di giorni, se la segni e se è sempre alta si tratterà in cronico, dopo elettrocardiogramma e visita cardiologica”.

Ho iniziato dagli esami del sangue. Prescritti in visita di esordio con il nuovo medico di base. Quello precedente era davvero approssimativo e algido e svagato. Ho avuto modo di discuterci un paio di volte. La sua ultima mail mi suggeriva a trovare un medico in cui io avessi fiducia. Il suo comportamento è stato da manuale, da filmare per dire come è sbagliato un rapporto medico-paziente impostato come quello che lui sa costruire. La fiducia si costruisce e si guadagna.

Sono molto soddisfatto della mia nuova dottoressa e del primo colloquio avuto con lei. Gli stati generali della mia salute, racconto di vita e di corpo – nel dettaglio. Ero munito anche della mia serie storica di misurazioni mattutine, tutte alla stessa ora.

“Intanto iniziamo con una pasticchetta, che così sguarnito non la posso lasciare. Le do la stessa che prende sua mamma, che così ce l’ha. In ogni caso avrei comunque iniziato con un sartano. Poi vediamo. Lei continua a prendere la misura al mattino e mi dice. Comunque ci vorrà qualche giorno… Appena ha le analisi me le spedisce”.

La mattina ora anche io prendo il farmaco. Alle 8 – con un’oscillazione di cortesia di 15 minuti. E’ la prima volta che prendo un farmaco “cronicamente”. Vedremo se s’aumenterà dose e frequenza e cosa altro sarà necessario, farmacologicamente.

Quando sono andato a fare le analisi – che è molto che non le facevo- mi sono reso conto che comunque, alla fine, una delle più solide ragioni che mi hanno protetto dal contrarre dipendenza da droghe pesanti per via iniettiva è stato il fastidio dell’ago nella vena.

Siccome era tanto che non le facevo ho atteso l’emersione del mio io biochimico con apprensione – raccontandomi in dettaglio e catastroficamente, con in un penoso atto di dolore, tutte le mie trascuratezze che mi hanno reso un sessantenne potenzialmente iperteso e sovrappeso. Se so come si fa, perché non l’ho fatto non lo so. Sottile il dubbio s’insinua: siamo certi che poi lo farò?

Mi sono accorto dopo tanto che nella parte posteriore del blister del farmaco che somministro da mesi a mamma, e da pochi giorni a me, ci sono scritti, in coincidenza di ciascuna compressa, i giorni della settimana.

Che per me – dovendo recuperare il senso e la sequenza cronologica- inizia ormai di venerdì. Credo non sia casuale questa sfasatura ulteriore – che fa combaciare biografia e biologia in una differente e artificiale coincidenza dettata da quanto scritto sul blister, verificata quotidianamente aprendolo alle 8. È il mio introibo.

Tre quarti d’ora dopo mi misuro la pressione e me l’appunto. Sui fogli riporto data completa –giorno, mese anno- la massima, la minima, i battiti. Sono annotazioni esili, simili a quelle che ho ancora da qualche parte quando smisi di fumare, credo una quindicina di anni fa, dove avevo iniziato a segnare i giorni per quantificare il tempo che trascorreva libero da tabacco, usando l’evidenza della consistenza dell’elenco che emergeva dal colpo d’occhio osservando i fogli come leva per liberarmi dalla dipendenza. Ora che ci penso, ho fatto lo stesso con il peso anni fa. Avevo appeso dietro la porta dei cartoncini su cui per mesi ho appuntato la data – in quel caso solo giorno e mese- e il mio peso, impegnandomi in una dieta e in una pesa molto consapevole e quotidiana. Anche qui il colpo d’occhio mi ha funzionato da ancoraggio e misura del cambiamento che man mano stavo ottenendo.

In entrambi gli ultimi due casi gli esiti dipendevano dal mio comportamento, dall’impegno e dalla volontà.

Un po’ diverso il diario della pressione quotidiana. Ho la sensazione che in quota parte vi sia qualcosa che dipenda anche dall’età e dal pregresso, che non è modificabile. “Secondo me – mi aveva detto la dottoressa- se cala di peso, almeno 15 punti di mercurio li perdiamo”. Serve che vada da un nutrizionista, un dietologo? “Questo me lo deve dire lei”. L’espressione del viso stava significando che questo dovrebbe poter dipendere davvero dal mio impegno. Ad ogni buon conto mi ha scritto su un post-it il numero di un “nutrizionista bravo” e lo ha appiccicato sul primo dei fogli su cui sono riportati i numeri della mia pressione quotidiana. La prima data appuntata è il 16 gennaio.

Nei giorni successivi, fino a ieri, ho dissimulato le mie buone intenzioni. Erano vivaci ma nascoste dietro nuvole grigie che il vento prima o poi avrebbe spazzato palesandole come necessità – a prescindere che fossero o meno intenzioni. Il necessario va fatto. Lo dico rimproverandola all’anziana genitrice che assisto – non posso sottrarmi io a me stesso.

Ieri ho ritirato le analisi. Con il referto in mano intanto mi prenoterò elettrocardiogramma e visita cardiologica.

Nel pomeriggio tardi le ho inviate via mail alla dottoressa, che ancora non mi ha risposto con un commento – ma oggi è sabato. Ho letto con attenzione il mio referto: “Prestazione sottolineata: valore fuori norma”.

Quando si ha in mano i fogli del referto ho sempre la sensazione di agire in maniera analoga di chi compra un settimanale di enigmistica che ha nelle ultime pagine dedicate alle soluzioni di cruciverba, enigmi sciarade e giochi simili. Se c’è scritta la risposta, in genere finisce che la vai vedere non solo quando proprio non la sai, ma molto spesso solo anche quando esiti nell’ipotizzare la soluzione.

Sono davvero poche le sottolineature nei tre fogli pieni di numeri che mi riguardano. Le ho inviate a un caro amico, eccellente clinico, con allegato il messaggio “ecco il mio io biochimico”.

“Sono le analisi di un ragazzino”, mi ha risposto. Sollecitandomi a comprare una tuta e ad andare a camminare, ma “vedi di farlo sul serio”. Verso l’ora di cena mi ha telefonato ridendo – mi sfotte con affetto, perché poi mi ha chiesto cosa avessi cucinato per cena.

Quotidianamente testo la mia nuova routine, che però io dovendo far spazio alla pasticchetta, alla misurazione della pressione e al resto devo necessariamente modificare. Devo metterci anche la camminata a passo veloce. “Almeno due chilometri, ogni giorno”, mi ha prescritto l’amico.

La tuta, cercata e ritrovata, l’avevo in fondo all’armadio. Oggi l’ho tirata fuori e messa in lavatrice. Lunedì sarà lavata, asciutta e profumata, ché si inizia.

Si chiama sfigmomanometro l’apparecchiatura biomedicale usata per la misura della pressione arteriosa, inventata alla fine dell’Ottocento. Oggi è possibile misusarsela anche da soli, con apparecchi da braccio o onche da polso.

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