La rete di rughe, grinze e solchi profondi lasciati dal tempo sulla pelle dell’“anziana genitrice” inducono l’autore a riflessioni delicate complesse e poetiche
Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico
C’è la questione di quale senso abbia il predominio. Simmel diceva la vista, nella vita della metropoli. Dove l’olfatto invece è sopito – se cammini per i vicoli di Spoleto, nonostante la desertificazione del centro storico avverti ancora gli aromi che s’espandono oltre la finestra aperta e se sei sensibile, attento e immaginativo, indovini cosa mangerà chi abita in quell’appartamento.

Nella metropoli solo fumi e gas, nella cappa del traffico. L’udito qui non ha particolari opportunità di raffinarsi – per lo più coglie rumori e indifferenza come sordità di fondo. Il gusto tende a omologarsi in una mediocrità per cui il carattere marcato del tipico e l’espressività fantasiosa dell’esotico vengono addomesticati in egual misura per esser fruiti senza che ci si debba confrontare con sapori imprevisti e difficili: senza cioè che se ne possa riconoscere temperamento e natura accogliendoli con stupore e sorpresa. Niente voli pindarici – si procede per compromessi gustativi, evitando le note alte come quelle basse. Un reiterato giro di do.
Resta il tatto – che pure ha una parte anche nel gusto: pensa alla piacevolezza della croccantezza, che è un po’ il tatto sulla lingua. Il tatto, in un mondo in cui la parte preponderante dell’esperienza è di seconda mano…

Mi viene in mente il Barthes della Citroen DS, la seduzione della levigatezza. Per amor di contrasto penso alla bellezza delle rughe d’espressione, sedimentazione e stampa sul volto di come hai reagito alla vita nel corso della tua esistenza. Mi piace sentirle sotto le dita, sfiorandole leggermente per cogliere linee, incroci e irregolarità. Mi balocco nell’idea che questo sia un frottage capace di rivelarmi un’intimità biografica che nessuna parola saprebbe restituirmi. Ripercorrendone la trama con le dita, pelle a pelle combacia e così conosco e riconosco – me e te. La forza del tempo e la bellezza del temperamento diventano carattere impresso ed espresso sulla pelle, vuoto e pieno come in una lettera a stampa che risalta su carta preziosa. Posso avviarmi lungo tragitti che sulla carta geografica del tuo corpo sono avvertibili, segnati come sentieri da percorrere ammirando gli scorci, evitando le scorciatoie, indugiando quando stanco, procedendo secondo curiosità. Quante storie accarezzandoti posso conoscere e vivere, anche quelle in cui io ancora non c’ero.

Quando faccio la doccia all’anziana genitrice la insapono con cura. Le mani attingono sapone e strofinano il corpo. Poi la sciacquo bene, badando bene di non lasciar alcun residuo di detergente. Asciugo con un telo di spugna le spalle strofinando accuratamente; invece, procedo con delicatezza in altre parti del corpo, secondo evidente opportunità. Passo un po’ di deodorante sotto le ascelle e poi le spalmo la crema idratante per il corpo, al fine di tenere elastica la pelle e, là dove è più sottile e sollecitata dalle posture assunte a maggior attrito, ridurre il prurito e prevenire piaghe. Quello che l’acqua e il sapone dissimulano, il passaggio della mano con la crema evidenzia. Ci sono tratti del corpo, in particolare i due avambracci e poi parte delle gambe – ma soprattutto tra gomito e polso- ci porzioni di pelle che sembrano per grinzosità e consistenza quasi pelle conciata, appena pendula ma con la consistenza prossima a un cuoio morbido. Raggrinzita com’è ho il timore che non s’idrati quasi più. Al massimo si lucida. Ma non per questo desisto, anzi. Passo e ripasso e passo ancora con la crema per render morbido la pelle dell’avambraccio.
A toccarla, la sensazione è davvero particolare. Una rete di rughe, grinze e solchi profondi inscritti dal tempo in un caos concentrato su tratti di pelle prossimi alle mani che sembra riprodurre l’imprevedibilità della vita. Un cretto che iscrive memoria procedendo per assenze istituzionalizzate.
Difficile dimenticare…
