
Come tanti miei coetanei, io sono stata sia un’alunna sia un’insegnante. Decisamente contenta di andare a scuola, dalle elementari e medie (dove senza sforzi risultavo la “prima della classe”, senza essere secchiona né averne l’aria né il carattere) fino al liceo (anche se qui la cosa si rivelò decisamente più impegnativa), e poi all’università, dove- trovato il giusto metodo di studio- acquistai un’insperata autostima e una crescente soddisfazione nel superare gli esami, tanto che una volta non esitai a sostenerne due nella stessa mattina. In realtà io mi ero preparata per uno, poiché il secondo era fissato qualche giorno dopo. Mentre mi stavo accingendo ad uscire da casa, mi avvisarono che il secondo esame era astato anticipato per quella stessa mattina. Non mi scomposi più di tanto… che problema c’era?
In realtà un problema, e non da poco, si poneva: di un tomo pesantissimo che avrei dovuto studiare per il secondo esame, avevo letto soltanto (e anche superficialmente) una metà scarsa, ripromettendomi di terminarlo con una delle mie abituali maratone di studio che iniziavano alle quattro del mattino e si protraevano fino a quando non ero arrivata all’ultima pagina. Allora, premevano al telefono, che intendevo fare? “Non c’è problema: mi presento ad entrambi gli esami”. E con faccia tosta e una certa dialettica rodata in quei quattro anni affrontai le due prove, portando a casa due 30.


In quei quattro anni di università solo le prime tre ore della mattina (generalmente dalle 4 alle 7…) erano dedicate allo studio, dopodichè cominciava il mio tour de force di ripetizioni (soprattutto di latino, ma anche di italiano, greco e francese) perché non c’erano paghette di sorta e dovevo provvedere a me stessa.
Raggiunta la laurea in lettere moderne, non dopo essermi iscritta anche a filosofia (ormai ci avevo preso gusto), mi sentii perduta. In realtà il mio sogno era fare il medico (per la precisione il chirurgo), ipotesi scartata con grande dolore subito dopo la maturità, nell’apprendere che fra i primi esami (probabilmente come primissimo) avrei dovuto affrontare chimica, e mi vidi quarantenne china ancora sulle pagine di una materia di cui mi sfuggiva (e tuttora mi sfugge) tutto. Pertanto, avendo deciso di andare a vivere da sola al più presto, mi ero iscritta a lettere, non escludendo così di poter intraprendere il mestiere di giornalista. Mestiere che in realtà iniziai a 22 anni, ma che capii non mi avrebbe dato la possibilità di guadagnare immediatamente uno stipendio sicuro con cui pagare affitto e bollette.
Credo di essere stata una brava insegnante (sia a scuola sia nelle lezioni private), ma una volta scritto il mio primo articolo- su un quotidiano del Canton Ticino – avvertii il sacro furore che anima il giornalista e/o scrittore (avevo pubblicato giovanissima poesie e brevi racconti), e capii che scrivere era il mio vero obiettivo. Ma come fare per mantenermi?
Anche qui mi risposi come quella volta che dovevo affrontare due esami universitari: potevo fare sia l’uno che l’altro. Il pezzo di carta conquistato mi avrebbe permesso di entrare come supplente in una scuola media, pagando senza problemi affitto e tutto il resto e, contemporaneamente, avrei fatto anche la giornalista.
E così è stato. Erano altri tempi, mi rendo conto, ma fui anche molto fortunata: da supplente passai in breve ad avere un contratto a tempo determinato e a ruota uno indeterminato, finché dopo un periodo come insegnante di sostegno- superati gli esami di abilitazione- mi ritrovai insegnante di ruolo di lettere. Non tralasciando di essere nominata collaboratrice del preside, quindi vicepreside e infine preside (oltre che presidente di commissioni d’esame in più istituti). Il tutto in vista di andare in pensione il prima possibile (riuscii per un pelo, e non con le tanto discusse pensioni baby) e dedicarmi completamente a quello che consideravo IL mio lavoro. Per fare ciò ancora una volta la sveglia sul comodino era puntata sulle ore 4 del mattino, così da avere tempo – prima di prendere l’auto e imboccare una superstrada nebbiosa che mi avrebbe condotto trafelata in classe allo scoccare delle 8,10, inizio della prima ora di lezione- di scrivere a mano varie rubriche fisse per il Corriere della Sera, dove collaborai per oltre 30 anni. Trovando, inoltre, una splendida combinazione: seguire la medicina e scriverne. Il mio sogno si era realizzato. Fino a infrangersi qualche anno fa con il disastro della stampa, dell’editoria e di quanti l’hanno provocato.
Dicevo di essere stata una brava insegnante. Lo continuo a credere; purtroppo il mio pensiero era rivolto altrove, ma insegnando da prof nella scuola ho imparato tanto e sono stata a contatto con realtà differenti che mi hanno aperto la mente.
L’unico vantaggio: non dover più puntare la sveglia alle 4 del mattino. Eppure… quanto vorrei tornare a doverlo fare!
Minnie Luongo