Quanto e come può cambiare l’idea di bellezza

Un argomento su cui l’autrice cerca coraggiosamente di fare chiarezza, anche se l’impresa è assai ardua…

E’ una gioia per sempre come scriveva il poeta (“A thing of beauty si a joy for ever”, John Keats, Endimione) o è negli occhi di chi guarda? Come spesso avviene quando si parla di bellezza, la risposta è “ dipende“. Che vivere circondati di bellezza abbia un effetto positivo sulla nostra mente – e non solo – è ormai fuori di dubbio. Su alcuni elementi ci sono anche dei criteri di massima: pare ad esempio che la nostra attrazione per panorami aperti, con piante ad alto fusto e uno specchio d’acqua, sia legato al fatto che questo è l’ambiente nel quale ci siamo evoluti e quello più adatto alla nostra sopravvivenza. Così come i criteri che rendono attraente un nostro simile hanno a che vedere, più o meno consciamente, con le caratteristiche di un partner con il quale vorremmo riprodurci (anche se nella realtà non abbiamo la benché minima intenzione di farlo), Ma anche con un certo grado di affinità, presente ma non eccessivo, con volti che ci sono familiari.

 Ma detto questo, l’idea di bello si declina in infinite varianti legate ai gusti personali e soprattutto alla cultura nella quale siamo cresciuti: ogni generazione tende a trovare discutibili le espressioni artistiche o musicali delle generazioni successive, ma ci sono anche distinzioni più sottili. Gli appassionati di lirica continuano a dividersi tra verdiani e pucciniani, mentre chi predilige la musica strumentale può amare le opere più moderne di Rachmaninov o Debussy, o giurare sull’ineguagliabile superiorità di Mozart. Divergenze appianate dall’esperienza, in genere assai simile, che si vive ascoltando un brano del proprio compositore preferito.

David di Michelangelo

Lo stesso vale, ovviamente, anche per l’arte figurativa: io non ho una particolare sensibilità artistica (pur essendo cresciuta a Firenze a due passi dall’Accademia, per dire, non sono mai riuscita a emozionarmi di fronte al David di Michelangelo) ma ho sperimentato qualcosa di simile alla sindrome di Stendhal, lo smarrimento causato da una bellezza insostenibile. Le ultime volte, visitando il Duomo di Siena e alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, di fronte al cartone della Scuola di Atene di Raffaello. Non sapevo che fosse lì, e certamente la sorpresa ha giocato e gioca un ruolo nell’emozione. La stessa esperienza mi è capitata decenni fa a Londra quando, girando per la Tate Gallery alla ricerca dei miei amati preraffaelliti, mi sono trovata di colpo di fronte ai quadri di William Turner.

Il Duomo di Siena
Norham Castle, sunrise 1845, Tate Gallery (castello di Norham). Aitore: William Turner

Tutto però si fa più complesso quando parliamo di noi stessi e dei nostri simili. Basta guardare i quadri di qualche secolo fa, le dive degli anni ’30 o le foto delle finaliste ai primi concorsi di Miss Italia, per renderci conto di come i criteri della bellezza femminile siano cambiati, si siano fatte più severi (in passato erano sdoganate gambe corte e cuscinetti adiposi che oggi garantirebbero una bocciatura) anche grazie a filtri e applicazioni che ci permettono di ritoccare un’immagine fino a renderla perfetta. Anche se almeno per il momento pare che le immagini costruite con l’intelligenza artificiale non ci soddisfino completamente. Insomma, nonostante molti studi indichino che nel nostro apprezzamento della bellezza giocano un ruolo importante le proporzioni e l’armonia, forse non è la perfezione matematica che ci piace davvero.

La bellezza, quella sì, è importante: decine di studi, che spiegano come i belli abbiano vita più semplice, a scuola, sul lavoro e nelle relazioni social. Anche se in realtà la bellezza è cosa diversa dal fascino: in francese Esiste addirittura un termine, jolie laide (letteralmente “graziosa brutta”) per indicare una donna non bella ma proprio per questo irresistibile. Resta il fatto che per bambine e ragazze “essere belle” o almeno carine è stato per secoli un imperativo. Solo adesso i canoni si stanno allentando e si presta attenzione al body shaming, alle critiche legate all’aspetto fisico.

Ma è storia recente, quando eravamo giovani noi Over le cose erano diverse e decisamente meno semplici: io sono cresciuta in una famiglia in cui all’aspetto fisico non si dava grande importanza. I miei genitori sì sono sempre preoccupati del mio carattere, decisamente spigoloso, e dei miei risultati a scuola che invece erano più che soddisfacenti, piuttosto che del fatto che fossi pettinata, magra o graziosa. Il che ha comportato che arrivata all’adolescenza la mia ribellione non si è espressa a colpi di make-up e minigonne come avveniva per molte mie amiche, ma nel vestirmi nel modo più goffo e informe possibile. Avessi avuto quindici anni adesso, probabilmente sarei stata catalogata come gender fluid, all’epoca ero semplicemente un maschiaccio e spesso grazie ai capelli cortissimi ero davvero scambiata per un ragazzo, un evento che come scoprii presto aveva il vantaggio di lasciarmi qualche libertà in più rispetto alle mie coetanee. C’è da aggiungere che il mio fisico abbondante e i miei capelli ondulati andavano poco d’accordo con i criteri estetici dell’epoca, che prevedevano silhouette magrissime i capelli lunghi e lisci.  Di recente mi è capitato di recente di vedere qualche mia foto da ragazza, per scoprire che non ero inguardabile come pensavo di essere. Ne ho sofferto? Neanche troppo, lo consideravo un dato di fatto e non ero troppo interessata ad attirare gli sguardi. Anni fa d’altronde mi è capitato di indagare in un articolo gli aspetti negativi della bellezza, e nonostante tutto ce ne sono: non ultimo che il diffuso pregiudizio che tende (o almeno tendeva, forse le cose stanno cambiando) a considerare meno intelligenti le donne belle.

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