Parco di divertimenti

… Ossia, di chi vive con niente. O così parrebbe…Ma davvero il denaro è un demone dal quale bisogna stare lontani? E’ il tema del racconto dal finale spiazzante

Di Federico Maderno – scrittore  

“Il denaro è un demone dal quale bisogna tenersi lontani!”

Me lo aveva detto sotto il sole del primo pomeriggio, pochi giorni dopo che ci eravamo conosciuti ufficialmente.

Si chiamava Angelo P., aveva forse cinquanta anni, ma ne dimostrava almeno venti di più. Sarà stato il suo abbigliamento logoro e stazzonato. Saranno stati barba e capelli tenuti incolti e francamente assai poco puliti.

Faceva il muratore, ed operava presso un fabbricato rurale, arrampicandosi su un ponteggio traballante ad una cinquantina di metri dall’edificio per il quale curavo, da un paio di settimane, lavori di ristrutturazione.

Lui faceva il suo, da solo, ed io passavo spesso da quelle parti in ore nelle quali il mio cantiere era in pausa pranzo.

Così, quando andavo a controllare l’avanzamento dei lavori, avevo preso l’abitudine di salutarlo ed osservandolo all’opera, se si escludeva l’imbarazzo per quei dispositivi di sicurezza che non erano certamente rigorosissimi, avevo avuto modo di apprezzare la sua evidente manualità e la competenza con la quale eseguiva ogni tipo di intervento necessario per il recupero del piccolo e graziosissimo rustico. 

Un giorno, avendolo trovato ai piedi di quel suo trabattello sbilenco, avevo fermato l’automobile e ci eravamo presentati.

– Così, Lei fa il Geometra – mi aveva detto, scrutandomi ad occhi socchiusi.

– Veramente, io sono Ingegnere – avevo fatto presente, non senza una subitanea vergogna per quella precisazione che poteva apparire altezzosa ed era, al contempo, inutile.

– Ah, bene, bene… – aveva considerato. – E mi dica, Signor Geometra, come sta andando, adesso, il mercato immobiliare?

Mi ero tenuto sul vago:

– Oh, beh! Le case, oggi… Ha presente? E lei…  è suo questo bel rustico?

– Oh, no di certo – si era schermito. – Questa è roba per gente con soldi.

– Ah ecco, credevo!

Avevamo scambiato qualche impressione, quella volta. Niente di eccezionale, ma ormai il ghiaccio era rotto e da quel giorno, ogni volta che passavo a fare un controllo e lo trovavo al lavoro, non mancavo mai di trattenermi con lui un quarto d’ora, per informarmi su come procedeva la sua attività.

Così, capitò che una di quelle volte si parlasse di denaro.

– Chissà quanto costerà un intervento così consistente! – aveva detto, contemplando con le mani sui fianchi le attività per le quali ero progettista e direttore dei lavori.

– Parecchio – avevo convenuto. –  A volte, mi chiedo se la gente si renda conto di quanto denaro dovrà sborsare, prima di poter metter piede in casa.

In effetti, la trasformazione del cascinale aveva comportato un moltiplicarsi di spese, alcune delle quali motivate da imprevisti in corso d’opera, ma molte altre imputabili  ai capricci dei committenti che sembravano perfino contenti di sobbarcarsi l’onere di scelte bizzarre, francamente futili.

– Quella pietra di Luserna, per esempio, deve valere una fortuna – aveva considerato, indicandomi una mezza dozzina di bancali di piastrelle luccicanti che sarebbero servite per pavimentare gran parte del piazzale davanti all’abitazione. – Quella è roba che non viene via con meno di 40 euro al metro quadro.

– Cinquantaquattro, per la precisione – avevo puntualizzato.

Aveva emesso un lungo fischio e poi aveva stretto le labbra e annuito con il capo, non avrei saputo dire se per lo stupore o per la disapprovazione.

– Oggi, la gente crede di ottenere tutto, con i soldi.

– Non è così? – avevo puntualizzato.

– Ah, i soldi… Brutte bestie.

– Però, senza soldi… – mi ero sentito in obbligo di dire, rischiando un’assoluta banalità.

– Dia retta a me, Signor Geometra: il denaro è un demone dal quale bisogna tenersi lontani!

Di certo, lui addosso ne aveva poco.

Qualche tempo dopo, lo avevo invitato, una prima volta, a pranzo. Si trattava di una locanda alla buona, a conduzione famigliare. Niente di pretenzioso, ma proprio per quello la cucina era genuina e l’atmosfera rilassante. Finito il desinare, si era allontanato un momento, per andare ai servizi, e io ne avevo approfittato per regolare il conto, senza costringerlo a mortificanti ringraziamenti. Così era successo altre cinque o sei volte. Lui rimaneva un po’ impacciato, si tastava le tasche dove avrebbe dovuto esserci, forse, un portafoglio, e alla fine con lo sguardo un po’ sfuggente mormorava un “Va beh, allora… grazie!” che io fingevo di neppure sentire.

Il suo rapporto con il denaro, mi ero fatto convinto, doveva renderlo, se non altro, un uomo libero.

– Vede, – mi aveva detto durante una di quelle nostre chiacchierate – i soldi sono come ogni altra esigenza umana. Né più, né meno. Non conta quanti se ne hanno, ma qual è il desiderio di averne, il senso di mancanza. La persona ricca non è quella che ne ha tanti, ma quella che non ne sente il bisogno.

– Si spieghi meglio – lo avevo invitato.

– È concettualmente semplice: immagini un viaggiatore che nel deserto abbia cento litri d’acqua. Ed un altro tizio, invece, che sia il proprietario di una risaia. Chi ha più acqua a disposizione?

– Oh bella! – avevo risposto. – Non c’è dubbio che il coltivatore sia assai più fornito.

– Ebbene, adesso immagini che si tolga a queste due persone metà della loro dotazione. Ora, non v’è dubbio che mentre all’esploratore cinquanta litri potrebbero ancora essere più che sufficienti per attraversare il suo deserto o arrivare ad una piccola oasi, probabilmente il contadino sarebbe messo in grave difficoltà dall’improvvisa aridità dei terreni.

– Credo di aver capito.

– Gliel’ho detto: non conta quanto denaro si abbia, ma quanto uno ritiene di averne bisogno. C’è il rischio che pur avendone moltissimo si abbia l’impressione, anzi la certezza, di non possederne mai abbastanza. Mente se non se ne sente l’esigenza si può ragionevolmente dire di esserne sazi, ossia davvero ricchi.

– È un concetto interessante – avevo detto, con convinzione e guardandolo con rinnovata e diversa ammirazione.

Qualche giorno dopo, recatomi da solo in quella stessa osteria, avevo chiesto con discrezione alla proprietaria qualche informazione sul mio nuovo precettore in tema di sobrietà economica.

– Angelo è un po’ fatto a suo modo – mi aveva detto. – Certo, fa una vita di sacrifici che per me non ha molto senso. Alla fine, potrebbe almeno tenersi un po’ più curato nella persona. Ma del resto, se piace a lui…

– Mi sembra di aver capito che questa sua mancanza di ossessività per i beni materiali gli regala una serenità invidiabile.

La signora aveva alzato in maniera ostentata gli occhi al cielo, evidentemente poco convinta.

– Del resto – avevo considerato – come lavoratore mi sembra assolutamente abile e competente.

– Oh, per quello nulla da dire. Nessuno può negare che come muratore ci sappia fare davvero. Magari, è solo un po’ caro…

Ne avevo tratto la convinzione che la locandiera poco o nulla avesse capito, nel profondo, di quella persona.

Una settimana dopo, mi capitò di essere invitato da Angelo presso la sua abitazione. Per la verità, si trattò di un auto-invito. Dovemmo andarci fortuitamente, dal momento che un improvviso rovescio d’acqua mi aveva colto proditoriamente mentre ispezionavo i lavori del tetto, così che ne ero disceso  fradicio e francamente insozzato negli abiti.

Lo avevo scorto sotto la tettoia del “suo” rustico, intento a proteggersi da quella burrasca e ad osservare il cielo che si era fatto di piombo. Gli arrivai davanti grondante di acqua e con i pantaloni imbrattati di fango e della ruggine dei ponteggi.

– Posso chiederle la gentilezza di ospitarmi una mezz’ora per darmi una lavata e mettere ad asciugare gli abiti che ho addosso?

Acconsentì, non senza una certa titubanza. Evidentemente, le cortesie che gli avevo rivolto non gli consentivano di cercare una minima scusa per rifiutarmi un aiuto.

Salimmo sulla mia vettura e mi guidò dunque fin davanti ad una casetta malconcia, alla quale, davvero, molto sarebbero servite le cure delle sue mani di muratore abilissimo.

Angelo sembrava a tal punto impacciato che ero già pentito di avergli rivolto quella richiesta istintiva.

Entrammo in una stanza piccola e disadorna. Un letto a pagliericcio di quelli che una volta si riempivano con le spoglie del mais, un paio di sedie ed un mobile scalcagnato erano gli unici arredi di quel vano, nel quale aleggiava, a dirla tutta, un afrore niente affatto gradevole.

Restammo, qualche secondo, nell’imbarazzo di cosa fare veramente. Mi balenò l’idea che nemmeno ci fosse un bagno dove potermi dare una lavata e in merito ad una provvidenziale fonte di calore alla quale esporre i miei abiti, quei muri mal intonacati rimandavano invece tutta l’umidità ed il freddo che l’incipiente autunno riusciva già a regalare.

– Ebbene… – disse, senza davvero sapere come venirne fuori. – Ehhh… Io…

– Oh, non si preoccupi per me – mentii spudoratamente. – Se solo riesco a togliermi un po’ queste scarpe che sono fradicie…

Cercavo, nella penombra della stanza, qualcosa che mi consentisse di organizzare un rimedio minimale per la mia oggettiva difficoltà, ma non avevo idea di quale dovesse essere una strategia percorribile.

– Posso almeno… – disse Angelo con voce incerta. – Posso… Lo gradisce un bicchiere di vino per scaldarsi un attimo?

– No, guardi… La ringrazio, ma proprio…

– Solo un bicchiere di quello schietto…

– No, davvero – provai a controbattere. Io ero a tal punto pentito di averci cacciato in quella situazione che avrei preferito essere ancora sotto lo scroscio di acqua sul viscido dei ponteggi e lui, credo, probabilmente si malediceva per non aver saputo trovare una scusa, per quanto assurda.

– Un sorso soltanto… – insistette l’uomo.

C’era, sopra il pagliericcio, una mensola fissata al muro molto in alto; e su quella, un paio di bottiglie di vino ed alcuni bicchieri che dovevano aver visto poca acqua in vita loro ed ancor meno detersivo.

– Lasci stare, grazie… davvero, non è necessario.

Ma Angelo P. era già salito sulla fiancata del letto e si sporgeva per afferrare bottiglia e bicchieri, che avrebbe raggiunto a stento.

Si sentì uno schianto secco, proditorio e inimmaginabile come lo era stata la pioggia. L’uomo cercò d’istinto un appoggio e mentre il letto cedeva di schianto finì con entrambe le scarpe sul pagliericcio di tela logora, che si aprì come fosse stato raggiunto dalla più tagliente delle lame.

Ne vennero fuori…

C’era di tutto, in quel sacco.

C’erano tagli da cinquanta euro, con il loro inconfondibile marroncino chiaro, e c’erano quelli da venti, di un blu più sgargiante. Perfino, e non poche, sgusciarono fuori banconote da cinquecento, con il loro viola inquietante. Alcune parevano essere state sistemate ed introdotte a mazzette, altre erano francamente spiegazzate e perfino quasi appallottolate. E poi, c’erano divise di altri paesi, che neppure riuscivo a distinguere o non conoscevo.

Molte scapparono dal loro involucro inopinato e caddero, frusciando un poco, sul pavimento. Ma la maggior parte dovette rimanere dentro, perché il pagliericcio ne sembrava ancora assai ben fornito.

Angelo P. si rimise in piedi, poi mi guardò con occhi disperati ed un’espressione di incontenibile vergogna.

– Mi creda, Signor Geometra… Il denaro è davvero una gran brutta bestia.

Un pensiero su “Parco di divertimenti

  1. Gran bel racconto che sviscera un problema umano non da poco! Da leggere, ma soprattutto sarebbe da far leggere a tante persone che forse neanche capirebbero….

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