Lo stanco rito di San Scemo martire (nell’accezione etimologica del termine)

Quando il titolo spiega meglio e di più di quanto potrebbe fare un eventuale sottotitolo. Leggere per credere…

Di Federico Maderno – scrittore  

Arriva tutti gli anni. Più puntuale dell’ondata di influenza e per quello non c’è nemmeno il vaccino. Anzi, sembra che ci sia chi non vede l’ora di essere contagiato. Non appena davanti ai calendari s’inizia a pensare di voltare la pagina di gennaio, ecco lì, all’orizzonte, il tristo rituale del Festival della canzone italiana. Anzi, no. Perché l’effetto Sanremo ormai comincia ben prima; come le vendite dei panettoni natalizi, che una volta iniziavano i primi giorni di dicembre ed ora partono da settembre, quando si liberano gli espositori estivi, che contenevano gli ombrelloni e le paperelle gonfiabili. Del Festival successivo si parla addirittura prima che termini l’edizione corrente. Perché bisogna innanzi tutto chiarire chi sarà il Direttore artistico per il prossimo anno. Altrimenti, come si fa ad andare avanti?

Non ci credete? Fate la prova, buon Dio! Provate a digitare su Google: “direttore ar…”; così, nemmeno completando il secondo lemma, e scoprirete che il motore di ricerca vi suggerirà immancabilmente “… tistico Sanremo 2025”. Perché è fondamentale sapere in anticipo chi sarà la persona, probabilmente del tutto incompetente di musica, che si porrà al timone del carrozzone televisivo.

Del resto, anche quest’anno ad organizzare la kermesse sanremese e a decidere quale tra le canzoni fosse degna di gareggiare è stato un signore dal titolo di studio assai coerente con l’evento (sulla rete c’è un po’ di confusione: chi lo chiama geometra, chi ragioniere. Una via di mezzo tra Fantozzi e Calboni, insomma. Quello che pare certo è che è partito come perito agrario, ma poi non è giunto al diploma specifico). Certo, ha avuto una brillante carriera come D.J. e questo gli consente di ricevere, “si dice”, fino a 700.000 euro di compenso, ossia quanto stenta a guadagnare un operaio specializzato in tutta la sua vita e quanto riceve Cecilia Gasdia, Direttrice artistica della fondazione Arena di Verona, in 5 anni di lavoro. Ma lei, oltre ad essere stata una star della lirica, ha un diploma di Liceo classico e due Diplomi decimo anno di Conservatorio; dunque, niente “Fantocci”. “Si dice” che il nostro geometra abbia ricevuto 700.000 euro, perché a quanto pare, al contribuente non è concesso neppure sapere quali siano le spese sostenute dalla Televisione di Stato per questa gioiosa macchina da guerra. Resta un enigma, come quello del perché il Principe dei Savoia ha, a suo tempo, partecipato alla gara. “Misteri italiani!”, direbbe Carlo Lucarelli. Alleghiamo foto di Lucarelli perché per quella del Principe sul palco dell’Ariston, francamente, non ci regge lo stomaco.

Carlo Lucarelli, scrittore e giornalista

E veniamo alla manifestazione vera e propria. Dismessi i panni eleganti e troppo ingessati degli anni ruggenti ed eroici (dall’imbalsamato Nunzio Filogamo alla matronale Nilla Pizzi), il Festival è diventato una mera ricapitolazione di quello che si vede giornalmente e durante tutto l’anno. I cantanti sono gli stessi che passano ossessivamente sui social o che escono dai talent ultra pilotati. Così, mentre tra le giovani promesse femminili si rafforza la mise “maîtresse di bordello” (ma loro risultano assai meno simpatiche di quelle vere) gli uomini puntano più sui tatuaggi e sui piercing che sulla voce. Tutto fa brodo. Ricordati che hai pochi minuti per farti notare e farti votare. La gente ha bisogno di essere sbalordita e la concorrenza è tanta. “Guarda, stupisci! Com’è ridotto quest’uomo per te” diceva il poeta. La canzone? E chi la sta ad ascoltare? Sono finiti gli anni della musica di qualità. Quelli dei Matia Bazar e degli Enrico Ruggeri. Dei Dalla e delle Mina. A Sanremo si vocifera che 19 cantanti su 30 abbiano usato l’autotune, ossia un dispositivo elettronico in grado di rendere intonata anche la vincitrice dell’ultima edizione, e questo mi appare davvero come un miracolo. Oggi, per dire, sembra incredibile ma può provarci anche una come Elodie, che in un Paese musicalmente preparato già verrebbe mal accolta alla sagra della melanzana.

Del resto, la pochezza della cultura musicale nel nostro paese è ben nota e consolidata. Tra i giovani, il numero di quelli che suonano uno strumento musicale è in caduta libera. Accademie musicali e Conservatori stentano a mantenere un livello decente di iscritti, ma in compenso impazzano i rapper biascicanti (Ehi, bro!). Per capire quanto la stessa RAI (ossia lo Stato) tenga poco alla musica in Italia, basti ricordare che fino a una trentina di anni fa erano attive 4 orchestre sinfoniche della televisione nazionale; oggi si stenta a tenerne in vita una. Niente di cui stupirsi, se eminenti Ministri di Governo hanno dichiarato che con l’arte e la cultura non si mangia.

Mauro Sabbione ex pianista dei Matia Bazar e Litfiba al Kolbe di Mestre

Poi, a Sanremo ci sono gli ospiti. Ed anche per quelli, la selezione sa molto di mercato delle vacche (considerare che sono vegano). Una sorta di Foro Boario internazionale. Nel senso che Sua Eccellenza RAI li prende un po’ dove capita. Meglio se dichiaratamente bolsi (per il bollito va bene tutto) o se già impegnati in una tournée europea; perché, in tal modo ed in entrambi i casi, costano meno. Nulla c’entrano, è evidente, con un festival della canzone. Arrivano, fanno due sciocchezze sul palco, e se ne vanno con la loro mazzetta di euro in tasca. Una volta, tra di loro poteva annidarsi qualche cantante vero (nel 1984 costrinsero i Queen a cantare in playback, ma quelli erano appunto gli anni ‘80 e la musica era altra cosa); ora li evitano come la peste e li cacciano via prima che possano far impallidire la straziante produzione nostrana.

Tra gli ospiti italiani c’è sempre qualche cabarettista o presunto tale. Ti aspetti il Mac Rooney di turno o il nuovo George Carl. Uno che sappia far ridere, insomma, che ti stupisca. Invece, vedi arrivare le solite facce. Qualcuno sarebbe perfino decente, con un discreto talento. Ma sono gli stessi che vedi tutti i giorni nei palinsesti. Sai già cosa diranno: è come vedere “Blob” con gli spezzoni montati e se ti assopisci un attimo e riapri gli occhi rischi di credere che ci sia “Zelig”, sullo schermo.

Sanremo è morto: viva Sanremo.

Resta San Scemo. Lui non molla, è tetragono. A volte anche pentagono.  Se ne sta lì, davanti alla televisione, a contribuire al costante aumento dei dati d’ascolto, e peccato che ci sia la crisi demografica, altrimenti…! Guarda un po’ le mise dei cantanti, un po’ l’arredo sempre più scialbo del palco. Scrolla il capo, come fa tutti gli anni.

“Quella sembra ingrassata. Lui… Mio Dio com’è invecchiato (è imbolsito, così costa meno n.d.r.)” Per forza, lei è costantemente a cantare nei reparti alimentari dei supermercati (vedi, sui social, l’ultima vincitrice) o partecipa alla sagra della melanzana. Lui continui a rivederlo nei film di trenta anni fa e quando ti capita davanti live, sembra il nonno dei Bassotti di Topolinia.

Nonno Bassotto”

Ma non temete, cari appassionati del festival! Il vostro mito non morirà mai. Finché ci saranno giri di soldi e poltrone da assegnare, godrà di ottima salute. La musica un po’ meno; quella buona, del resto, si fa altrove.

Nota finale per la Direttrice della rivista: “Non mi sfidate, su certi argomenti, ché poi divento cattivo e spiacevole”.

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