Storia surreale di una votazione misteriosa alla maniera di Achille Campanile, mentre il titolo- se ancora ci piazzo questo inutile inciso- è alla maniera di Lina Wertmüller
Di Federico Maderno – scrittore
Il 9 giugno 2024, appena prima delle ore 23, i coniugi Gaetano Farigliulo e la di lui moglie Elisabetta Mastronardi, in compagnia del carissimo Ubaldo IV D’Hannover si recarono presso il seggio n°56 della seconda circoscrizione per compiere il loro dovere di elettori. Facevano così ogni volta, in occasione di qualsiasi tornata di votazioni ed era ormai tradizione pluridecennale che sfruttassero gli ultimi minuti utili per compiere il loro dovere civico. A tal punto che gli scrutatori consideravano sostanzialmente concluse le operazioni di voto quando vedevano giungere presso i locali della scuola elementare “Giovanni Verga, non lo scrittore, l’altro” la piccola comitiva con in mano, in bella vista, le tessere elettorali e i documenti di identità.
Naturalmente, la presenza di Ubaldo IV D’Hannover costituiva una complicazione minimale alla quale si poneva facilmente rimedio. Il piccolo cane, infatti, aveva un carattere incredibilmente mansueto, così che molto volentieri lo si lasciava arrivare fin sulla soglia del seggio dove veniva tenuto al guinzaglio da uno dei due coniugi mentre l’altro si recava nella cabina a compilare l’apposita scheda. Poi, la cosa s’invertiva: chi aveva votato a quel punto prendeva in consegna l’animale e invece l’altro consegnava i documenti… Lo tenevano a turno, insomma (questa mania di descrivere le cose in maniera barocca!).

Anche quella volta, dunque, si mise in atto il semplice stratagemma. Elisabetta Mastronardi impiegò non più di due minuti per compiere l’operazione. Uscita dalla cabina n° 1, riconsegnata la matita copiativa e recuperata la sua carta d’identità, dopo aver salutato con modi garbati gli scrutatori diede il cambio al marito prendendo in mano il guinzaglio e regalando una carezza al cane, che rimase impettito e non perse di vista il signor Gaetano, impegnato nelle brevi operazioni di identificazione.
– Cabina numero due – disse con una certa soddisfazione la Dottoressa Bagolaro, esperta Presidentessa, convinta che quello fosse l’atto conclusivo della fase aperta al pubblico e ormai certa che ancora una volta le operazioni di voto si fossero compiute, nel suo seggio, senza il più piccolo contrattempo.
Gaetano Farigliulo scomparve dietro la spartana struttura prefabbricata e più d’uno, nella stanza, lanciò d’istinto uno sguardo al grande orologio da parete che segnava, con elettronica precisione, le 22.57 e 25 secondi. 26, 27, 28 eccetera.
Passarono, in quella attesa ormai rilassata, una mezza dozzina di minuti. La Dottoressa Bagolaro, alle 23.03, lanciò uno sguardo cortese verso la donna che era rimasta, con il cane al guinzaglio, poco oltre la soglia della stanza. Elisabetta Mastronardi rispose con uno sguardo imbarazzato e Ubaldo IV D’Hannover emise un mugolio nervoso, forse impaziente di poter tornare a sgambettare (o szampettare?) verso casa.

Tre minuti dopo, la Presidentessa si avvicinò alla cabina numero 2 e con voce ferma ma gentile chiamò un paio di volte il Signor Farigliulo.
Non ottenendo risposta e già comprensibilmente agitata, prima assestò alla parete di legno alcuni colpetti con le nocche, quindi, preconizzando una tragedia, si avventurò essa stessa dietro il paravento della struttura.
Trascorsero cinque secondi in un silenzio irreale. Neppure il piccolo cane osò emettere il più flebile verso.
Quando Anna Bagolaro ricomparve dopo la breve ispezione, il suo volto tradiva più stupore che disperazione.
A chi s’era aspettato di sentirla annunciare una qualche improvvisa tragedia (Gaetano Farigliulo era cardiopatico, ma non avendo mai fatto accertamenti il suo cuore funzionava benissimo) le sue parole suonarono come la più incredibile delle sorprese.
– Ma qui non c’è nessuno! – disse, guardando ora uno ora l’altro dei presenti, e massimamente la moglie dell’uomo, come se la poveretta potesse essere al corrente di dove si fosse nascosto il coniuge.
– Avrà capito male il numero della cabina – propose il Ragionier Molino, che teneva in mano i documenti dell’elettore pronto a riconsegnarli e a chiudere il registro delle presenze.
Furono controllate le altre due cabine, ma di Gaetano Farigliulo non v’erano tracce, se si esclude la presenza, proprio nella cabina numero 2, della scheda elettorale, ancora intonsa, della matita copiativa e dei suoi occhiali da miope che certamente l’uomo si era tolto accingendosi a scrivere.
– Ma stiamo scherzando? – sbottò la Dottoressa Bagolaro, a quel punto più indispettita per la situazione paradossale che aveva colpito il suo seggio che per le sorti dell’uomo, certo in vena di attuare uno scherzo di cattivo gusto.
– Ha guardato bene? – domandò il Ragionier Molino, non considerando che tre cabine elettorali sono meno adatte a sottrarsi alle ricerche di quanto lo sia la Reggia di Caserta.
Pur tuttavia furono ricontrollate per ben quattro volte (uno degli scrutatori arrivò perfino a saltare ripetutamente, per vedere se l’uomo potesse essersi arrampicato sul tetto dei box).
Ci si chinò sotto le scrivanie e sempre Molino propose di controllare l’urna, avanzando l’ipotesi che il ricercato avesse rare doti di contorsionista.
Niente. Gaetano Farigliulo era incontestabilmente scomparso, svanito.
Alle 23.21, dopo un’ultima disperata perlustrazione, si decise di chiamare la Questura.

– Come, “scomparso?” – esclamò il Vicequestore Modica, socchiudendo gli occhi mentre premeva all’orecchio la cornetta del telefono. Si trattava, in effetti, di una segnalazione più che singolare, inconcepibile.
– Ho capito… – disse alla fine. – Mi attivo subito.
– Serve una macchina? – gli chiese il Sovrintendente Codogno, che era presente nell’ufficio al momento della telefonata.
– Meglio di no, grazie. Ne approfitto per fare quattro passi.
Giunse presso il seggio verso le 2 e 20, neppure troppo provato da quei 15 chilometri di sterrato che separavano la Questura dalla “Giovanni Verga, non lo scrittore, l’altro”. Per fortuna, aveva indossato un impermeabile marrone che lo aveva discretamente protetto da una improvviso scroscio di pioggia.
Sul posto, si era radunata una piccola folla di curiosi. Innanzi tutto, c’erano una coppia di poliziotti fatti intervenire quando, trascorsa un’ora, non si avevano ancora notizie del vicequestore. Inoltre erano accorsi gli scrutatori degli altri 5 seggi collocati nell’istituto scolastico. Alla comitiva si erano aggiunti alcuni giornalisti locali (proditoriamente chiamati dai soliti amici) e perfino s’era intrufolata, tra il pubblico eterogeneo, una coppia di ladri convinti che a quell’ora i seggi risultassero ormai chiusi e si potesse sottrarre alcuni computer dei laboratori.
La Signora Elisabetta Mastronardi, dopo un primo momento di semplice meraviglia era piombata in una comprensibile disperazione.
Fatta sedere su una delle sedie nell’atrio della scuola, aveva accettato di buon grado di sostenersi con qualcosa di discretamente alcolico che potesse darle un po’ di sana “scossa”, e siccome ognuno di quelli che sopraggiungevano le propinava il medesimo consiglio, all’arrivo del poliziotto appariva ormai in preda ad un discreto stato di ubriachezza.
– Dunque, si tratta di suo marito…!? – le domandò il vicequestore, mentre si assestava vigorose manate sul petto, per liberare dal suo impermeabile qualche ultima goccia di pioggia.
– Quale marito? – rispose la donna, con voce impastata. – Ah, sì, mio marito!
– È sicura che sia venuto con lei qui a votare? Non è che che all’ultimo minuto ha deciso, che so io, di restare a casa…?
– Ma Dottor Modica! Lo abbiamo visto tutti! – esclamò la Dottoressa Bagolaro.
– Ah, sì? – sibilò il poliziotto, voltandosi di scatto e fulminandola con uno sguardo di bragia. Non si sa mai, cara Signora, non si sa mai… Due mesi fa, tre ciclisti hanno perso una sacca sportiva contenente alcuni effetti personali, tra cui un borsello marrone di finta pelle e fibbia di metallo, con dentro custoditi quasi tremila euro. Non è mai stata ritrovata.
– E allora? – chiese il Ragionier Molino. – Questo cosa c’entra?
– Niente, – sentenziò il Vicequestore stizzito – ma mi andava di dirlo.
– Saranno le nuove tecniche investigative della Questura – mormorò la Dottoressa Bagolaro, cercando di non farsi sentire.
Si fece un tentativo con Ubaldo IV D’Hannover. Portarono la bestiola presso la cabina elettorale.
– I cani hanno una capacità impressionante di seguire le tracce umane – affermò il poliziotto. – Le statistiche dicono che nel 98.8 per cento dei casi sono in grado di ritrovare i loro proprietari.
Invece, il cagnetto sembrava più confuso di tutti. Per un po’ fiutò distrattamente le pareti del prefabbricato, poi alzò la gambetta e lasciò la sua firma indelebile sul legno, con relativo rivolo giallognolo sul pavimento.
– Questo è significativo – commentò il vicequestore con espressione convinta.
– Di come sia scomparso l’uomo? – chiese uno degli scrutatori.
– Di quanto siano false le statistiche – commentò Modica.
– E allora, cosa possiamo fare? – chiese Qualcuno (uno dei poliziotti, ci eravamo scordati di dire, si chiamava Egidio Qualcuno).
– Voglio provare a ricostruire l’accaduto – intimò Modica, passandosi una mano sul mento. – Fuori quelli che non c’entrano con l’accaduto!
Furono fatti allontanare quasi tutti. La coppia di ladri chiese il permesso di andare a trafugare i computer dei laboratori.
– Purché non disturbiate, con rumori molesti, le operazioni di indagine – concesse Modica.
La scena assunse la stessa geometria di qualche ora prima. La signora Mastronardi fu piazzata appena oltre la soglia della stanza, seduta su una sedia, ché stentava davvero a mantenersi dritta. Ai suoi piedi, il piccolo Ubaldo IV D’Hannover sembrava ormai rassegnato a rimandare la sua passeggiata notturna verso casa.
– Io, naturalmente, interpreterò lo scomparso – dichiarò il poliziotto con aria furba, facendosi consegnare una scheda e una matita copiativa.
Sparì dietro la paratoia della cabina numero 2. Per cinque lunghissimi minuti l’unico rumore che si sentì furono i singhiozzi regolari della signora Mastronardi (non di pianto).
Alla fine, la Presidentessa del seggio si avvicinò alla cabina e provò a chiamare Modica. Non ricevendo risposta entrò nella struttura e vi rimase pochi secondi. Quando ne venne fuori, guardò i presenti con un’aria sconcertata.
– Sparito anche lui?! – gridò quasi terrorizzato il Ragionier Molino.
– No: se ne sta appiattito contro la parete, cercando di mimetizzarsi grazie all’impermeabile color del legno.
Modica venne fuori poco dopo. Pareva soddisfattissimo:
– Molto bene, mi sento di dire.
– Lei trova?
– Almeno abbiamo dimostrato che non può essersi nascosto qui dentro.
– Bella scoperta! – mormorò Molino.
– Lei non faccia il furbo! – lo apostrofò il poliziotto. Poi, con un sorriso beffardo disegnato sul volto gli si avvicinò e gli puntò un dito contro. – A proposito: lei dov’era ieri sera dalle 20 alle 22 circa?
Tutti guardarono, con stupore, il ragioniere. L’uomo aveva cambiato espressione e sembrava volersi fare piccino piccino. A tal punto l’abilità del poliziotto era già giunta alla soluzione del caso? Quella mente apparentemente assopita, francamente contorta, indubitabilmente confusa sapeva così bene ingannare chi era indotto a sottovalutarlo?
– Naturalmente, ero qui al seggio! – rispose lo scrutatore con una certa titubanza.
– Peccato. Sto cercando qualcuno che abbia visto per intero il Gran premio di Formula uno.
– No, mi dispiace, io non…
In quel preciso istante, un telefono iniziò a squillare.
Cercarono in ogni dove. Operazione assai semplice e rapida perché in quella stanza c’erano pochissimi dove.
La Signora Mastronardi riuscì finalmente ad avvicinare il cellulare all’orecchio e iniziò a socchiudere gli occhi, come se avesse davvero difficoltà a capire qualcosa di una conversazione precaria.
– Come…? Come? – continuava a dire. – Non sento bene.
– È lui? – domandò il Vicequestore Modica, anticipando a parole la legittima domanda che tutti si stavano facendo.
– Non so, non capisco. La linea è molto disturbata…
– Ma cosa dice? Dove si trova?
La donna fece cenno di stare in silenzio e si mise di nuovo in ascolto.
– Come “al mare”? Ma da dove chiami? Si sente malissimo…
Modica le strappò letteralmente il telefono dalle mani:
– Sono il vicequestore Modica! – avvertì, gridando nell’apparecchio.
Qualcuno è pronto a giurare che dall’altra parte giunse una sonora pernacchia, ma la cosa non è confermata.
– Come dice? In che senso “sembra che qui sia il primo pomeriggio”… “In riva al mare” ha detto?
Trascorsero così un paio di minuti. Anche Modica cercava con grande difficoltà di interpretare quello che giungeva dal capo opposto del collegamento. Ogni tanto, sembrava riuscire a comprendere qualche frase più completa, ma poi scrollava il capo e faceva segno che si era al punto iniziale.
– Australia? Ho sentito bene: ha detto Australia?! – strillò ad un certo punto.
Improvvisamente, qualcosa di inaspettato congelò il sangue nelle vene di tutti i presenti. Dalla cabina numero 2, un lieve scricchiolio cominciò a percepirsi sempre più distintamente. Nessuno osò andare a sincerarsi di cosa stesse accadendo. Nel giro di un minuto, il flebile rumore si trasformò in un lugubre cigolio e dopo pochi secondi, da dietro il paravento della struttura comparve un giovane aitante di forse venticinque anni, agghindato in maniera molto sportiva, a cominciare dai bermuda a fiori e da una maglietta rossa sulla quale campeggiava la scritta “Surf school”. Esibiva un’espressione stupita, anzi francamente sbigottita.

– Where am I, damn ? Where the hell I ended up ?! – disse il giovane, guardandosi attorno con aria sconcertata. – Are we always in Sydney, or where ?
Per inciso, teneva tra le mani una scheda elettorale di aspetto molto esotico ed una matita copiativa.
Scoppiò un putiferio. La Signora Mastronardi sembrava improvvisamente molto più lucida. Iniziò a dire che poteva trattarsi di suo marito assai ringiovanito e che in ogni caso era disposta a portarlo a casa così com’era.
La Dottoressa Bagolaro quasi svenne per la sola eventualità che la presenza di un estraneo nel seggio e addirittura nella cabina conducesse all’annullamento delle operazioni di voto.
Quanto al ragionier Molino, cercò di convincersi che potesse trattarsi di un semplice disguido. Non conoscendo una parola di inglese insisteva perché si considerasse il nuovo arrivato alla stregua di un lavoratore transfrontaliero, tornato per l’appuntamento elettorale. I due agenti, mano alle pistole d’ordinanza, aspettavano solo un cenno del superiore per procedere all’arresto del ragazzo.
Nel mezzo di quel putiferio, la coppia di ladri si affacciò alla porta della stanza:
– Noi si avrebbe finito – dissero all’unisono (erano gemelli) – Abbiam ciulato solo roba bona, perché un si frigge mi’a coll’acqua! (erano toscani).
– Ma andate, andate pure a…! – li incoraggiò Modica, indicando loro con la mano una generica direzione di connotazione piuttosto volgare.
– Ma allora, per la miseria! Cosa sta succedendo, qui dentro? – disse alla fine la Dottoressa Mastronardi, che lasciatasi cadere su una sedia era sull’orlo di una crisi di nervi. – Qualcuno ha capito cosa è accaduto qui, questa notte?
Fu a quel punto che il Vicequestore Modica attirò l’attenzione di tutti, con la sua voce baritonale:
– È sostanzialmente semplice e comprensibilissimo – disse, sorprendendo i presenti.
– Semplice? – domandò Molino.
– Addirittura comprensibile? – aggiunse uno dei suoi poliziotti. Non Qualcuno, l’altro.
– Comprensibile e sfortunatamente più frequente di quanto si possa credere – considerò il vicequestore con l’aria di saperla lunga e annuendo col capo.
Tutti si fecero muti. Nel silenzio carico di aspettativa che si era creato, il solo Ubaldo IV D’Hannover emise un unico lievissimo mugolio. Si sarebbe sentita volare una mosca, ma l’ultima era uscita dalla stanza alla 1 e 54.
– Ebbene, cari signori, – disse Modica con tono trionfale – si tratta di un malauguratissimo sebbene evidentissimo caso di “voto di scambio”.
Lo portarono via in trionfo.