Per il mese di giugno i collaboratori del nostro magazine sono stati invitati a scegliere un argomento a loro piacere. Via allora al “tema libero”! (che sembra facile, ma è tutt’altro). Per l’Editoriale io avrei voluto scrivere dell’abbandono estivo degli animali di casa. Per stare sul pezzo- è il caso di dirlo- mentre scrivo queste righe (è il 26 giugno 2024) leggo che proprio oggi, nei giardini di Parco San Sisto a Roma, è stata presentata una nuova campagna di comunicazione antiabbandono degli animali d’affezione con il sindaco Roberto Gualtieri, l’assessora all’ambiente Sabrina Alfonsi, assieme a Licia Colò, popolare conduttrice Tv che per il secondo anno consecutivo ha prestato il volto all’iniziativa. Tra i messaggi più significativi lanciati dalla campagna: “L’abbandono: come uccidono i vigliacchi”. Insomma, le scuse (che tuttavia non possono esistere in questi casi) sono finite!
Contemporaneamente, ho scoperto che compie quattro anni il libro “Io ho sempre parlato” della nostra collaboratrice Amelia Belloni Sonzogni, che abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare come grande paladina degli animali. Ecco perché, ancora una volta, giro a lei il compito di occuparsi dell’Editoriale, ringraziandola in anticipo per la disponibilità immediatamente dimostrata alla mia richiesta.

Una piccola luce nella notte
di Amelia Belloni Sonzogni
Compie quattro anni la pubblicazione di “Io ho sempre parlato. Vita di un cane unico con umani normali.” Festeggiare ha un senso se può essere d’aiuto.

È stato il dolore la molla che ha dato vita a questo libro: Pedro non c’era più, Giatt – suo “fratello”, tolto da un canile – pareva ingestibile, io non mi rassegnavo e la depressione tornava a farsi sentire… scriverne mi ha aiutato; perciò, ho voluto aiutare a mia volta i cani che non hanno ancora avuto la possibilità di vivere come hanno vissuto Pedro e prima di lui Dog, come vive Giatt ora con noi.
In alcuni canili – come quelli ai quali ho destinato tutto il ricavato delle vendite di questo e degli altri miei libri finora pubblicati – trovano amore, cure, pappe, una famiglia allargata. E sono ancora fortunati perché sono sopravvissuti all’abbandono, ma sono chiusi la maggior parte del tempo: dietro le sbarre senza aver commesso reati. D’altra parte, sono tante le difficoltà di chi organizza un rifugio.
Di fronte a certe terribili storie di vita vissuta, ricostruite dalle cicatrici che portano sui corpi e manifestano nel comportamento, il dolore si rinnova, ogni volta.
È giugno: in questo mese così bello (lasciamo stare il 2024), con l’arrivo dell’estate, in Cina, a Yulin in occasione del festival della carne di cane, che dura dieci giorni dal 21 giugno, la Human Society International stima che più di diecimila cani e gatti, randagi rastrellati per le strade o rubati ai legittimi proprietari (se hanno vissuto bene sono più gustosi), zampe e musi legati, ammassati in gabbie minuscole, aspettano di essere torturati: picchiati, scuoiati agonizzanti, macellati e bolliti vivi. E non si riesce a impedire questo orrore, come tanti altri.
Non credo che la latitanza di questa estate possa mettere cani e gatti al riparo dalla delinquenziale abitudine di disfarsi di loro come fossero pattumiera lasciata per strada, spesso in una discarica abusiva.
Sono e sono state tante, per fortuna, le campagne pubblicitarie contro questo fenomeno. Mi piace ricordarne una, di sicuro tra le prime, perché frutto della creatività di un amico che non c’è più ma resta impressa per le sue idee, solo in apparenza semplici, in realtà geniali. Si chiamava Maurizio D’Adda ed era suo lo spot del 1988 patrocinato dal WWF contro l’abbandono: Chi abbandona gli animali è una bestia. Sulle note di «Luglio, col bene che ti voglio», un’auto carica di bagagli in viaggio per il mare, guidata da un gruppo di cani, abbandona un uomo in giacca e cravatta lungo una strada. Forse lo ricordate:
Più recente e colorita ma tanto significativa (ve la lascio però solo immaginare o cercare in autonomia) è quella pensata da Rocco Siffredi.
E l’abbandono – a cosa si arriva – riesce ancora a sembrare il male minore di fronte all’atrocità: penso ad Angelo (diventato un simbolo e protagonista di un film) seviziato da un gruppo di delinquenti, se non ricordo male all’epoca minorenni; ad Aron bruciato vivo dal proprio umano al quale – se non altro – è stato di recente interdetto di detenere altri animali; a Leone, il gattino scuoiato vivo l’anno scorso e non è stato l’unico; a Giorgio (la notizia è di questi giorni) indifeso cane di un clochard che, pare per vendetta, è stato ucciso a coltellate e buttato in un fosso a Roma.
Ci guardano, con dignità, e aspettano che ci si comporti in modo diverso.
Sono tante le citazioni di filosofi, scrittori, grandi uomini del passato che invitano a riflettere sull’atteggiamento di noi animali umani nei confronti degli animali non umani. Che posso dire io? Posso solo provare, con le mie storie e lo scopo al quale sono destinate, a portare un pochino di luce in questa notte terribile, funestata da questi e tanti altri orrori verso gli inermi. E ce lo hanno ricordato, con la forza di uno squarcio, i versi sulla guerra a Gaza in apertura di questo numero di giugno.
La mia luce è piccola, è fioca, è intermittente come quella delle lucciole. Chi ha letto il libro uscito quattro anni fa coglierà forse subito il nesso. Non lo svelo per non rovinare la sorpresa ai possibili futuri lettori. Vi racconto solo che l’altra sera, in un momento di sconforto, dalla finestra aperta è entrata una lucciola e si è posata sul davanzale. Ho pensato che non fosse solo una lucciola.
