Vetrinizzazione

 Con la macchina fotografica in giro per Roma ad agosto

Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico

Vetrinizzazione (scatto dell’Autore)

Venerdì sono riuscito la sera.
Ho parcheggiato la vespa a piazza Santi Apostoli, sono arrivato all’inizio di via del Corso e ho tirato fuori la macchina fotografica. Pellicole in bianco e nero, 50, 28 e 85 come ottiche. Ho iniziato alle 21 e sono rientrato attorno all’una e mezza.

Che cosa strana passeggiare per il centro della mia città con la macchina al collo, per vie che conosci bene alla scoperta di vetrine e manichini. Devo esser apparso strano nell’intento di ritrarre manichini come fossero persone. Ho suscitato stupore quando qualcuno vedeva che riavvolgevo la pellicola e caricavo un nuovo rullino.

“Rigidamente in fila, attendono” (scatto dell’Autore)


Sono stato in cammino, scattando foto concentrato e in assoluto silenzio per almeno 4 ore. Tutto con me stesso. Un modo elegante per dire della mia solitudine: ero l’unico a spasso da solo. I pochi non accompagnati stavano raggiungendo qualcuno – chiedendo al navigatore o a voce con il telefono dove fossero e come fare per arrivare. Il mio cellulare era in tasca. Sapendo il giro da fare per perdermi a piedi, senza nessuno da incontrare non ero in ritardo tale da dovermi affrettare, o in anticipo per cui dover rallentare. Ero nel mio tempo, disposto e accogliente per i miei passi.

Camicia bianca, pantaloni chiari, tracolla per l’attrezzatura, coevo e anonimo, prossimo all’irrilevanza. Me ne sono accorto perché invece gli altri che erano in giro erano molto più attenti e coerenti, nei codici dell’outfit adottato, all’occasione “uscita serale”, tanti giovani corpi abbronzati e disinvoltamente svestiti con attenzione e gusto, coerenti con l’immaginazione di se stessi. Io uomo di mezza età, solitario e assorto, ci ho messo un po’ per riuscire a sentirmi invisibile.

Uscito per curiosare, come fossi in qualche modo in caccia, ero attento rispetto a luci e cose, a persone e voci. Camminando o fermandomi per inquadrare e scattare, di chi incrociavo coglievo brandelli del loro dialogo. Un collage di stati d’animo e di voci, conversazioni a contrasto, di lavoro o di vacanze, riuscivo a sentire solo una frase.
Tanti turisti, non solo stranieri. “Stasera mangerei un gelato, un bel gelato con tanta frutta, non ancora la carbonara, no pure stasera…”. Gli stranieri più sopra le righe. Molti gruppi di ragazze da sole, che ridevano un po’ a volume più alto dell’atteso – o forse si sentivano di più perché eravamo in ora tarda, in zona pedonale e con molti altri consueti suoni spenti, rispetto alle luci del giorno.

Casualità o stato d’animo, la sensazione era di cogliere in chi incrociavo parole tra chi era uscito (anche) apposta per conoscersi, per creare comunanza e magari legami. Forse Roma d’agosto sollecita questi incontri tra persone che durante l’anno sono solo conoscenti e che in contemporanea con lo svuotarsi della città, tra i restati scatta la curiosità di conoscersi. Magari un’uscita serale, un gelato e una passeggiata, che così ci si racconta e magari ci si scopre a desiderare qualcosa di più.

Desideri di presenze: “ Invece io avevo capito che tu dovevi stare a pranzo con tua madre…”.
Desideri di cose: “Guarda ecco Uniqlo… ci fermiamo e aspettiamo qui domattina che apra, così siamo i primi?”.
Desideri di storie e di raccontarsi. “Certo, li rivedo io i programmi e la sintassi, anche se poi non dovrebbe esser compito mio e anche se alla fine faccio queste cose a me le chiavi dell’ufficio non le danno…”.
Anche, poi, furbizie amare: “Vanno in ferie? Se lo credono… io ho la centoquattro, loro non lo calcolano e io la tiro fuori. Io c’ho mamma, che posso lasciarla sola a Ferragosto?” – quando “anziano e disabile” servono ancora …

“La notte sarà nera e bianca, Gérard de Nerval (scatto dell’Autore)


I rullini, complice la settimana di Ferragosto, saranno scansionati per la fine del mese. C’è tempo perché possa vederne gli esiti. Attesa e curiosità fanno parte dell’analogico, che obbliga a scelte immaginative e interpretative “al buio”, non emendabili osservando immediatamente l’esito del “click” in uno schermo, per correggere e ripetere.
Mi racconto che questo sia elemento costitutivo di un diverso rapporto di interpretazione del mondo. Come accettare la dimensione tragica dell’esistere, l’evidenza che siamo tutti dilettanti della vita, viviamo e scegliamo decidendo i sentieri da imboccare senza disporre di un addestramento preventivo, senza mappa nota del percorso intrapreso e dei suoi esiti.

Venerdì sera ho scattato degli azzardi – con tempi di posa lunghi, pericolosamente prossimi -e forse anche oltre- la gestione “a mano libera” (senza cavalletto). Ho immaginato profondità e rilevanze dei manichini sagomate dalla luce nelle vetrine nei loro esiti in biancoenero, pensando all’effetto della traduzione dei colori nelle diverse scale tonali che salgono e scendono nel cuore della modalità binaria che governa le espressioni dei diversi grigi.

Aspetto di vedere gli esiti e credo altre due uscite – che farò “al buio” in altre zone di Roma- occorreranno per chiudere gli scatti del mio progetto manichini. Uscite che comunque servono anche a vedere la bellezza di chi sta insieme…

Nota dell’Autore: ” A colori l’unica vetrina ‘registrata’ con il cellulare, perché la vespa <è cosa fina> ”

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