Ottobre, il sole, la birra e le parole per dirne
Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico

Non ci vuole poi molto, me ne rendo conto. Sono incastri fortuiti. L’imprevedibilità è fattore critico di conseguimento del risultato. Oggi, per esempio. Mi sono svegliato alle 4.30 per lavorare. Ho riempito lo zaino con quanto mi poteva servire per completare e consegnare il file. Sono andato a san Lorenzo per ragioni varie. Ho parcheggiato a via dei Volsci. Con la testa altrove e lo zaino pesante sulle spalle sono entrato nella libreria Tomo a via degli Etruschi. Sono stato bene là dentro a toccare e sfogliare libri che mi suggerivano una regia attenta nella scelta e disposizione dei titoli in negozio. Senza fretta ho accarezzato copertine e immaginato gli addetti riflettere nel momento in cui facevano le loro scelte presso gli editori, fino al punto di veder il sorriso dei più piccoli al ricevimento dell’ordine. Ho pasticciato con gli occhiali, le mani occupate, due zanzare che hanno spadroneggiato ronzandomi attorno. Alla fine, senza affrettarmi ho preso due volumi che sembrava fossero là per me – anzi, ne sono certo: mi attendevano e sono arrivato puntuale all’incontro. Sono uscito, tornato su via dei Volsci, accomodato a un tavolino al sole, tolto la giacca, arrotolato le maniche della camicia, sorseggiato una IPA che il sole, attraversandone la consistenza, con i raggi la rendeva di un colore ancor più attraente. Ho ripreso in mano i libri appena acquistati e il taccuino per appuntarmi qualcosa che ora neanche ricordo. Però la sensazione provata si, è tutt’ora viva. Mi sono reso conto che sebbene fosse ottobre il sole scaldava e anche parecchio, era insistente con i suoi raggi tanto da farmi socchiudere gli occhi e interrompere di leggere e scribacchiare. MI sono accorto che dove ero e quello che stavo facendo non era nei progetti e nemmeno nelle idee del giorno che era iniziato immaginando tutt’altro, con altre cadenze e tempi e incombenze e necessità. Tempi e spazi differenti quelli in cui stavo – del tutto imprevisti, a tal punto da farmi credere che fossero rubati. Mi ci sono accoccolato dentro questa sensazione. Ho rallentato e diminuito frequenza e dimensioni delle sorsate dal bel bicchiere, per protrarre la piacevolezza del momento, la sorprendente felicità che a sorpresa stava prendendo forma. L’ho detto a Vincenzo -si ci siamo stretti la mano quando ho pagato la birra. Ci siamo presentati perché là fuori, al tavolino del bar dei Brutti, si erano succeduti momenti fatti di quasi nulla che mi avevano reso felice. Dovevo dirglielo, spiegando la curiosa e imprevista successione di piccole belle cose che si stavano concludendo al bancone del suo locale e ringraziarlo.
“Mi fa piacere – mi ha detto- vorrà dire che allora torni e ci rivedremo”.
“Certamente”, ho risposto.
La sequenza non sarà la stessa, forse. L’autunno sarà progredito, magari ci sarà più gente ai tavolini, berrò la birra in piedi, in libreria non troverò altri libri tentatori, il sole non scalderà. O forse si. Comunque mi rimane la croccantezza del ricordo di oggi. Sono comunque convinto che se anche la prossima volta avverrà differentemente, sarà comunque bella.