Quel ricordo più caldo di una sciarpa di lana

 E se, prima che “fuori”, il calore fosse da ricercare dentro di noi?

Di Luciano Ragno – giornalista

     Improvvisamente mi ricordo di aver compiuto la scorsa settimana un gesto mai fatto prima: ho sfogliato il calendario, quello che regalano al negozio e che sta lì, appeso, in un angolo della cucina. Avevo contato i giorni che mancano all’inverno. Un gesto inedito per me.  Il mio tempo, per una vita, l’ha battuto il calendario con le lancette al polso.

    Ero andato a cercare i giorni dell’appuntamento con il freddo. E studiare così la strategia anti brividi: abiti pesanti, termosifoni mai spenti, ginnastica in salotto e non più la passeggiata al parco. E quella bianca sciarpa di lana che fa tanto intellettuale. Il cappello, per favore, no. Farà eleganza ma sa di vecchio signore.

   Ora il mio piano antifreddo è pronto. Inverno non ti temo.

   Ripensandoci avverto che c’è qualcosa che non va. E’ a rischio, basta un niente per finire nelle braccia del sottozero: i termosifoni che si bloccano, la sciarpa dimenticata al cinema, quel muscolo che si irrigidisce e ti ricorda che non sei un ragazzo, quindi alt alla ginnastica in casa.

    Dove trovare allora il calore? Un’idea.  E se, quello tiepido che rassomiglia a una carezza e soffice come uno sguardo d’amore, fosse dentro di me? Offerto  dai ricordi che ancora donano serenità?

     Sai che faccio?  Vado a trovare un ricordo, lo vivo e vedo se dà calore alla mia anima.  Ne ho tanti, la mia vita ha tanti anni e molti, proprio molti, trascorsi a raccontare il mondo vedendolo di persona. Ne scelgo alcuni differenti fra di loro.

 Il primo è il sorriso di una ragazza sulla piazza grande della mia città, Foligno. Un sorriso diventato amore: ancora resistono uniti in una famiglia.  William Shakespeare ha detto: “ L’amore ristora come il calore del Sole dopo la pioggia”.  E Chris Hart: “ Tutte le statistiche del mondo non possono misurare il calore di un sorriso”.

      La gioia della nascita delle figlie, Andreina e Claudia. Quando la vita ti vuole bene e ti gonfia il cuore.  E poi quella dei nipoti: Chiara, Michele ed Elena. Allora la vita mi ama, la felicità è immensa.

       E immaginando un freddo pungente, ripenso a quello gelido, sulla stessa piazza del sorriso della ragazza, quando studente al liceo mi fermavo all’edicola e chiedevo “Il Messaggero”. Lì dentro un articolo con la mia firma. Poi di corsa, atteso dal mio banco

      Avverto già calore. Insisto.

 Quei giorni a Cape  Canaveral davanti al fuoco di potenti razzi, mentre la terra trema, che lanciano uomini nello spazio per andare a  vedere se c’è qualcuno, oltre noi terrestri, che ha la fortuna di vivere questo infinito mondo che sarebbe bellissimo se fosse abitato da soli uomini di buona volontà.

     O quando in Irpinia vedo gente che finalmente dimentica divisioni e ripicche e scava con le mani per andare ad aggrappare quel lamento sotto le macerie provocate da un sisma. E disperatamente lo porta in salvo.

 Ma anche quel giorno in Alaska. Davanti a me, in piedi su un battello, tre balene che danzano e ballano, sotto gli occhi meravigliati di un iceberg vestito, per l’occasione, di azzurro.

     Ancora. Un uomo vive con il cuore di cuore di un altro uomo: alcuni giorni dopo del trapianto mi è concessa un’intervista. Siedo accanto al letto; negli occhi del paziente la gioia di essere tornano a vivere.  “ Prima dell’intervista, caro giornalista, le posso fare una domanda: che ha fatto l’Inter ?”. E io: “Ha vinto”. Ricordo di un lampo di vita di chi non credeva più nella vita. Felice con lui.

     Quel pomeriggio che dura fino a un’alba, proprio davanti alla porta di una sala operatoria al “Gemelli “, a Roma. Unico giornalista. Lì dentro Papa Wojtyla gravemente ferito che lotta per sopravvivere. Mi arriva l’ansia della Scienza. E insieme la sofferenza dell’illustre paziente. Ore concitate piene di speranza. Un gettone e lo racconto sul “Messaggero”.

 E se il calore non venisse solo dai ricordi? La domanda mi viene in mente guardando la catena dei libri che si danno la mano nel mio studio. Anche una storia può aiutare. Una di quelle che ti prendono e non ti lasciano. Una storia che ti fa dimenticare le tue storie.

   Non lo penso solo io.  Fabrizio Caramagna, maestro degli aforismi, scrive: “ La lettura è il calore che continuamente modella la cera dell’anima”. Aggiungo: e dall’anima si trasmette al corpo.

    E poi credo che il calore venga anche dall’ascoltare la musica: “La musica lava via dall’anima la polvere della vita quotidiana” ha detto Berthold Auerbach .

     Ma anche da un campanello: un amico ti è venuto a trovare. Da una telefonata che attendevi da tempo.   E da quella mano tesa sul pianerottolo o in strada anche a gente lontana con un messaggio di sostegno.

   Ho finito di scrivere, rileggo.  Mi soffermo là dove ho parlato delle imprese spaziali. Devo avere una foto scattata a Cape Canaveral (si chiamava così prima di Cape Kennedy).  La vado a cercare in un album gonfio di immagini.  Sfoglio. A un tratto mi appare quella di mia nonna Caprera. E mi ritrovo bambino, accanto a lei fra amiche che giocano a tombola.  A me l’onore di estrarre i numeri dal sacchetto. Ricordo i sorrisi delle signore che disegnavano il quadro dell’amicizia. Si volevano bene.  C’era calore nella stanza . Riscaldava tutti. Eppure il camino era spento.

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