… mentre in casa c’è solo la compagnia del silenzio
Di Luciano Ragno – giornalista

Inizio con la storia di due signore. Non hanno un volto e neppure una voce. Impalpabili. Eppure esistono. Amano comparire soprattutto la sera, quando in casa è accesa solo una luce: quella azzurrina del televisore che colora il silenzio. Vestono l’abito della malinconia.
Una si chiama Solitudine e l’altra Attesa.
Siedono in salotto accanto a un signore (ma anche una signora) che riposa sul divano. E’ solo, in attesa di uno squillo, sognando un toc toc alla porta. Magari di chi abita nel palazzo. Ma lo squillo non arriva. E il toc toc rimane una speranza.
Il signore spegne la Tv e, malinconico, va in camera da letto. L’attende un amico, il sonno. Qualche volta si fa aspettare e allora compaiono i ricordi, chissà perché mai uno che faccia addormentare sereno. Le due signore siedono in poltrona, pronte per la sera dopo.
E’ una delle tre persone, quella oltre i 75, anni che dichiara di essere solo e, per di più, non ha nessuno cui riferirsi in caso di bisogno. Più una lei che in lui. Ma la sofferenza è la stessa.
Scrivendo sulla sindrome dell’oggi, la solitudine, ho bisogno della testimonianza di chi vive senza nessuno accanto. Ricordo di aver conosciuto al parco un signore che mi disse: “ Vivo con me stesso”.

Lo cerco, lo trovo proprio al parco. E’ seduto su una panchina leggendo il giornale:, “Il Messaggero”, il quotidiano della mia vita, e già questo mi fa simpatia. Quattro chiacchiere: politica, traffico, lui la Roma, io la Juve. Parlo della mia famiglia e lui: “Fortunato lei, io, come già le dissi, vivo da solo, non ho nessuno, sono vedovo, non ho figli né parenti”. Gli chiedo: “ Lei conosce le signore Solitudine e Attesa?”.
Subito di risposta: “ Le conosco ma non le avrei volute conoscere. Non le avevo mai viste in casa quando ero giovane e i miei nonni avevano gli anni che io ho adesso. Vivevamo tutti insieme, ci tenevamo compagnia. Il problema di uno diventava di tutti, figli e nipoti”.
Caro amico, già i figli. Ora se ne vanno.
“ Io non ne ho ma so bene che se ne vanno perché la vita lo chiede. Costruiscono una famiglia. E la famiglia chiede autonomia. E poi questo ritmo convulso della Società che non dà tempo neppure di andare a tenere compagnia a un padre o una madre soli… Attimi, poche chiacchiere. Tutto è fretta. Ho letto che sta nascendo perfino l’intimità a distanza”.
Come scorre la giornata di uno solo?
“ La mattina se ne va abbastanza bene. Una sosta all’edicola per il quotidiano o il settimanale che racconta le storie degli altri. Due chiacchiere al negozio all’angolo (il supermarket è lontano e quel carrello spinto a fatica, quasi vuoto, racconterebbe a tutti che a tavola c’è solo una sedia). Anche il pomeriggio scorre via. Un breve riposo in poltrona, la tv che racconta la vita, da un po’ di tempo solo disgrazie. E poi, se il tempo lo consente, una passeggiata qui al parco. Il dramma è al rientro. La porta si chiude alle spalle e in salotto, già in attesa, le due signore”.
Lei non ha una persona che l’aiuta? Penso a una badante.
“Certamente, non potrei farne a meno. La mia è straniera. Il problema è stato all’inizio perché ci comprendevano a cenni. Poi lei ha imparato l’italiano e almeno un paio di volte la settimana in casa ci sono due voci. Resta la sofferenza della porta cha la signora chiude quando va via. E resta la solitudine”.
Ringrazio e saluto. Riprendo a scrivere.

Resta “l’oltre badante”, la casa di riposo. L’antisolitudine per chi sa adattarsi e trovare simpatie e conforto negli altri, vivendo una realtà che non avrebbe mai voluto vivere. Ma sa accettare. Chi non ci riesce vive la solitudine fra tanti. Diventa chiusura, al limite è sofferenza.
Quella che ho descritto è la solitudine- dai diversi volti- degli anziani, figlia della Società di oggi. Ma la Società non se accorge e non fa molto di istituzionale per combatterla. E allora c’è il fai da te dell’aggregazione: il Centro Anziani. “ Dai vieni, si chiacchiera, si racconta. E poi si viaggia perché spesso saliamo sul pullman e andiamo a vedere luoghi interessanti; la prossima tappa sarà Assisi. Dai, vieni”. Ma anche la vacanza d’estate tutti insieme.
E’ una realtà che si registra più in piccole località che nella grande città dove la distanza è nemica dell’aggregazione. Distante quel “tutti insieme”. C’è l’autobus, ma è sempre affollato e poi la strada a piedi, faticoso… Sarà per un’altra volta. Mi viene in mente che questa Società ha dimenticato le “pomeridiane”, quegli spettacoli che andavano in scena il pomeriggio. Un gesto di cortesia a chi voleva distrarsi e aveva difficoltà ad uscire per andare a teatro la sera.
E poi c’è chi trova una soluzione a quello che dovrebbe essere promosso “Patrimonio dell’Umanità”, ovvero il burraco. Il più grande antidoto alla solitudine. Nasce con il passaparola. In quattro intorno al tavolo. E’ per lei e per lui. Nessuno ci pensa ma è anche una medicina, uno di quegli integratori che aiutano il cervello a non cadere in letargo, l’equivalente delle parole crociate, solo che si vive in gruppo.

Ma la Società non è solo distratta davanti all’anziano solo. Sa essere crudele. Non gli è amica costringendolo a vivere con difficoltà economiche al limite della sopravvivenza. E a chiedere disperatamente aiuto quando è malato: l’ospedale lontano e quando lo si raggiunge attendere giorni nel pronto soccorso quel posto letto. Ma questo è un tema che non posso chiudere in poche righe. Ne parlerò, prometto.
Chiudo qui il mio viaggio- anch’io sono un anziano, fortunatamente non solo- nella solitudine, permettendomi, con umiltà, di dare un consiglio a chi, giovane, mi legge: crearsi per tempo gli strumenti per vivere il tempo dell’Over. Penso a un hobby ma anche a un animale. Quel cane che ti obbliga alla passeggiata al mattino e che, contemporaneamente, fa sentire la presenza di qualcuno in casa. Così come il gatto che sul divano attende una carezza.
E poi i due segreti da coltivare quando i capelli bianchi non hanno ancora fatto la loro comparsa. Il primo: amicizie, quelle che resistono agli anni e alle intemperie della vita. Il secondo: abituarsi a pensare che dopo una vita convulsa, fatta di vittorie e sconfitte, dolori e gioie, sofferenze e piacere, la solitudine è anche vivere finalmente in compagnia di se stessi e finalmente conoscersi.
L’ha detto anche il grande regista Bernardo Bertolucci: “La solitudine può essere una tremenda condanna ma anche una meravigliosa conquista”.