Pensierino controcorrente di Natale

… Come si fa a dire “credo”? La propria idea di vita non può essere un fatto  condiviso

Di Marco Vittorio Ranzoni – giornalista

Sbaglierò. Probabilmente sbaglio, ma in fondo, se anche fosse, sarà un problema solo mio e poi è da un po’ che ce l’ho nel gozzo.

Certo, tirarlo fuori proprio a Natale è da bastardi, ma tant’è.

Le religioni, non sopporto più le religioni. Tutte. Qualcuno mi dirà di non parlare di cose che non conosco, di sciacquarmi la bocca col sapone ma…in fondo, forse qualcuno le conosce veramente?

Sono convinto che ciascun individuo abbia una sua personale e ricchissima dimensione mistica, più o meno articolata, ma in che modo questa si può ridurre a una tipologia catalogabile, omologabile e a disposizione di tutti?

Come può la mia idea di soprannaturale coincidere con quella di un altro, al punto di sovrapporvisi e generare un culto, una preghiera comune?

E’ un fatto che i conflitti razziali, i genocidi, le oppressioni e le guerre siano state e sono ancora generate da questa per me assurda contrapposizione di credi religiosi. O di questioni economiche e di dominio che a vario titolo se ne paludano.

In poche parole, sento crescere dentro di me l’insofferenza nel vedere i popoli suddivisi in “cluster” religiosi.

 “Gli ebrei, i musulmani, i cristiani…”. Ma che cosa mi importa? Onestamente, non vedo il valore aggiunto di dichiarare la propria fede, quasi che una credenza potesse accomunarci in fazioni, renderci gruppo dove l’uno è indistinguibile dall’altro e dividerci in squadre a seconda del tifo.

La propria idea di vita, il come e il perché siamo capitati a vivere su una palla infuocata che gira come un precario bruscolino nell’Universo e soprattutto che ne sarà di noi, dopo, non può essere un fatto condiviso, perchè in realtà ognuno di noi ne ha una sua personale e vaga idea.

Un conto è discuterne, come fanno i filosofi da sempre e noi al bar: l’importante è non arrivare mai ad una conclusione, perché la conclusione probabilmente non c’è.

Sono tutte elucubrazioni che terminano con una virgola, mai con un punto.

E’ infinitamente più probabile che l’universo, la terra, la nostra razza, la nostra civiltà, con le sue città e i suoi missili, le mongolfiere e il risotto giallo, la natura stessa così come la vediamo, le piante e gli animali, siano frutto dell’evoluzione durata milioni di anni di qualcosa nato dal caso e dal caos. Ma pensarlo fa paura, perché ci condanna a non poter sperare in qualcosa oltre la nostra morte.

E allora tutti, alè, dagli egizi ai pellerossa, dai monaci tibetani alle caste sacerdotali, a fondare culti e inventarsi storie e libri e crociate e chiese, idoli e totem. Un mondo affascinante, terribile, ma alla fine rassicurante e soprattutto da poter condividere coi nostri simili.

Sbaglierò, mi rendo conto di trattare la cosa in modo superficiale, ma io -ad esempio- non potrei far parte nemmeno di un club che basasse l’appartenenza su un credo e fosse articolato in dogmi.

Da convinto sostenitore dell’individualismo, mai potrei far parte di un partito politico o tifare per una squadra di calcio, figuriamoci identificarmi in una religione. Come può un gruppo di persone emanare regole buone per tutti, dettare comportamenti e agire sempre in linea col mio pensiero?

Non sono anarchico. Anzi. Giusto il complesso delle leggi dei governi laici può avere un senso, ma lì ne va della sopravvivenza, della coesistenza sociale. Sono regole necessarie ad evitare il nostro annientamento e nulla più. Non pretendono e non devono mai (ma succede spesso, purtroppo, e proprio per colpa delle religioni) ingerire nelle scelte di coscienza del singolo, su temi che coinvolgono lui solo e la sua visione spirituale.

Per contro credo fortemente nel lavoro di squadra. E non è un paradosso o una contraddizione, anzi. In un team la vera forza è data dall’individuo. Che si mette al servizio di un progetto concreto, senza un retropensiero ideologico e vi riversa le proprie idee e le proprie abilità, senza rinunciare alle differenze che lo rendono unico e senza aver la tentazione di cambiare gli altri.

Se nella politica questo si vede raramente, nelle religioni è impossibile (e anche essere interista è molto, molto difficile).

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