Il nostro tempo personale è una quantità finita e pure brevissima. C’è chi ci pensa poco, chi mai e chi fin troppo spesso, come l’autore e come moltissimi di noi
Di Marco Vittorio Ranzoni – giornalista

Non c’è una nozione che ci condizioni tanto quanto il tempo. A pensarci, è pazzesco: ci offre una precisa idea di successione, di evoluzione delle nostre vicende e di quello che siamo in grado di percepire del mondo attorno a noi, è un riferimento che ci permette di stabilire se un evento è occorso prima o dopo di un altro, indipendentemente dal luogo nel quale questi avvengano.
Un regalo e una condanna, dato che abbiamo la consapevolezza che il nostro tempo personale è una quantità finita e pure brevissima. C’è chi ci pensa poco, chi mai e chi fin troppo spesso, come me.
Del resto, è uno dei temi più affrontati dai filosofi di ogni tempo e tutte le religioni sono nate e prosperano nell’umana illusione di poterlo combattere, il tempo, piegandolo alla speranza di una illusoria eternità che non potremmo mai descrivere se non ricorrendo a qualche goffa iconografia. Paradisi, piramidi e preghiere non esisterebbero, se pensassimo alla nostra vita come a un film con la scritta “the end”, quando si accendono (pardon) si spengono le luci.
Potrebbe venirci in soccorso la teoria della relatività di Einstein, che nega l’esistenza di un tempo assoluto, come se ognuno avesse invece una propria misura del tempo, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo. Naaaa…, io non ci arrivo a capirla, questa cosa, e resto a guardarmi le macchie sulle mani come se – esatto – non ci fosse un domani.
Per citare Sant’Agostino: “Cosa è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegare a chi lo chiede, non lo so”

Praticamente tutta la nostra vita è un palleggiare tra memoria del passato, attenzione al presente e attesa del futuro. Del tempo crediamo di fare uso, ma alla fine dobbiamo solo subirlo, anche se con le aberrazioni tipiche del nostro essere umani ipertecnologici.

I più giovani forse non si rendono ben conto di quanto questa dimensione sia stata compressa e stravolta nel breve volgere di qualche decennio. Ci siamo talmente assuefatti alla logica del ‘just in time’ ad ogni costo, imposto dalle nuove tecnologie, da non renderci conto di essere virtualmente schiavi della gestione del tempo. Senza addentrarsi in un passato più lontano, dove per avere contezza di un fatto accaduto in un’altra città potevano passare settimane o mesi, giova ricordare che quando iniziai io a lavorare scrivevo lettere a penna su un foglio, lo passavo alla segretaria che lo batteva a macchina sulla carta intestata facendone una copia su una velina con la carta carbone. Dopo la firma si metteva il foglio in una busta e lo si spediva. E sto parlando degli anni ’80, mica del Rinascimento. Insomma, c’era tutto il tempo per valutare e riflettere attentamente su ciò che si stava per dire e anche per gestire l’ansia dell’attesa della risposta. Eppure, si facevano trapianti di cuore e gli astronauti si erano già stufati di andare sulla luna. Ma mentre con le cuffie ascoltavamo cassette nel Walkman, all’orizzonte si stagliava già minacciosa la sagoma del personal computer e in pentola bolliva a fuoco lento il WWW.
Tenendo conto che i meccanismi neurobiologici del Marco ragazzo dovrebbero essere non dissimili (al netto di un mio fisiologico decadimento) da quelli del Marco sessantenne, diventa pazzesco che oggi si possa pretendere un tempo di risposta misurato in nanosecondi e andare nel panico se non si vede la spunta di whatsapp appena tolto il dito dallo smartphone. Ma l’adattabilità e l‘elasticità della mente umana non ha limiti. Finché non va in tilt.
Che poi, a ben pensarci, più che mancanza di tempo, che quello volendo si trova sempre se ci si tiene, mi pare mancanza di pazienza.
“Ormai nessuno ha più tempo per nulla. Neppure di meravigliarsi, inorridire, commuoversi, innamorarsi, stare con se stessi. Le scuse per non fermarci a chiedere se questo correre ci rende felici, sono migliaia, e se non ci sono, siamo bravissimi a inventarle”. Tiziano Terzani
