Il sabato del villaggio…  o lo scemo, del villaggio?

Dalla chiara fama alla fame chiara

Di Federico Maderno – scrittore  

Oh, quanto aveva ragione il buon Giacomo! Cosa ci riserva il domani? Delusioni, affanni, quasi certamente fatiche e privazioni. E dunque, come non seguire il consiglio del Poeta di Recanati e cercare nell’oggi la serenità e insieme la speranza del futuro, prima che cadano le illusioni e la realtà si manifesti in tutta la sua  tragica crudeltà?

Di chi stiamo parlando?

Del lavoratore attempato, naturalmente. In particolare, di quel pollo che credendo di far cosa buona e giusta, di far virtù del suo impegno e dell’amore per la cultura, si è lasciato attirare dalle sirene dell’Università.

Sì, perché oggi, per la serie “chi è causa del suo mal pianga se stesso, chi è vittima dell’altrui mal è comunque un fesso”, facciamo due conti in tasca a molti laureati del Bel Paese. Intendiamoci: si tratta di conteggi materialistici, brutali, per niente poetici, ma è necessario che qualcuno, prima o poi, lanci un avvertimento a quanti non hanno ancora sbagliato.

Dunque, mi scuserete, questa volta niente prosa poetica, niente invenzioni argute, niente “als ellenico”, niente dispiegar d’ali sulle vette del Parnaso.

Oggi, ci mettiamo il berretto (ammesso che ne abbiano uno) dei commercialisti e tiriamo fuori tutto il bieco razionalismo della nostra formazione ingegneristica.

Ebbene, i conti, magari un po’ semplicistici, certo privi di certe finezze da economista, sono presto fatti.

Partiamo dalla materia prima, ossia appunto da un ragazzo di belle speranze che ha  faticato tanto per conseguire un diploma. Un suo amico ha già scelto diversamente. Il poverino, strappato ai balocchi dell’infanzia, si è trovato un’occupazione alla tenera età di quindici anni. Certo, si tratta di un lavoro da garzone, magari. Molto sudore e poche soddisfazioni economiche (in apparenza). Però, così giovane, a fine mese si ritrova già qualche soldo da spendere.

Il suo amico studente cosa fa, nel frattempo? Studia, appunto. Ossia, per quanto se ne dica altrimenti, non frequenta il paese di cuccagna, non fa il perditempo nei baretti del paese. Ma se è serio, come dobbiamo presumere, ha anche  gli impegni di studio pomeridiani. Se gli va bene, riesce a ottenere la paghetta di mamma o di nonna e a fine settimana, se è parsimonioso, può scapparci anche una pizza (mezza se provvisto di anima gemella). Intanto, la famiglia deve mantenerlo (libri, vestiti, trasporti, cure, vettovagliamenti…). Facendo un calcolo approssimativo, si può pensare che il mantenimento di uno studente in età adolescenziale (medie superiori) si aggiri sui 4000 euro all’anno. Che per i cinque anni canonici fanno 20.000 euro tondi tondi. Li accantoniamo un attimo e passiamo oltre.

Ecco che, dopo il diploma, a qualcuno viene la bella idea di fare la scelta universitaria. Ora, dicono sempre le statistiche che il 50% degli studenti universitari è “fuori sede”. Per forza, del resto. L’Italia è fatta per lo più di minuscoli paesi o da città di medie e piccole dimensioni, rarissimamente fornite di un ateneo. Dunque, occorre calcolare il nuovo esborso per i 5 anni curricolari (ma bastano?).

Presto fatto: tasse universitarie 2000 euro, trasporti locali 400 euro, affitto di una camera/loculo 2500 euro, vitto 3500 euro, pubblicazioni universitarie, fotocopie, cancelleria, computer 600 euro. Ovviamente, restano le spese fisse per cure, vestiario eccetera. Ma il ragazzo è giovane e pieno di salute e le magliette e le scarpe ce le facciamo passare da Gigi, il cugino maggiore.

Quanto sopra, sia ben chiaro, per ogni anno di frequenza; che vuol dire a fine corso 45.000 euro di “investimento”. Che sommati a quelli già impiegati alle superiori fanno 65.000 euro.

Intanto, l’amico ex quindicenne ha già 10 anni di esperienza lavorativa ed altrettanti di contributi previdenziali. Ma lui insiste, il laureato. Mettiamo il caso che gli venga la malaugurata idea di diventare insegnante. Del resto, se scemo è, è bene che lo sia fino in fondo.

Lo aspettano, allora, una media di sette anni di precariato, pagato al minimo, senza avanzamento di carriera e con probabilissimi “buchi” contributivi.

Poi, per ambire ad un impiego a tempo indeterminato, altre spese per crediti formativi (60 crediti universitari ormai obbligatori costano altri 2500 euro), concorsi (magari, lui che è poniamo il caso di Bolzano deve andare a sostenerli a Napoli, e sono altri 500 euro). Se gli va bene, alla fine diventa di ruolo nella sua provincia, ma meglio mettere in conto un altro paio di anni fuori sede (facciamo altri 10.000 euro di spese extra). E con questo, è arrivato all’agognata meta.

Tiriamo un po’ le somme e scopriamo che ha sborsato 78.000 euro, mentre se si fa un po’ di conti sulle entrate, può ritenersi fortunato se è arrivato a 130.000. Bilancio totale provvisorio: ha guadagnato, al netto, 52.000 euro, ha più o meno 33 anni di età e circa 6 anni di contributi versati.

Ah, non bariamo! In quanto a previdenza, lo Stato gli fa la cortesia di riconoscergli gli anni universitari (naturalmente fino ad un massimo di cinque).

Come dici? Ho sentito bene, hai detto: “almeno sono gratis”?

Ma ti gira il berrettino (come dicono dalle mie parti)? Se li deve pagare, naturalmente. Fatti due conti, gli vengono a costare circa 25.000 euro e dunque il saldo netto scende a 27.000 euro che “spalmati” sui diciassette anni che sono trascorsi è come se il nostro laureato fosse andato anche lui a lavorare a 15 anni percependo uno stipendio mensile di 132 euro!

Però, non deve perdersi d’animo. Ora, comincia il bello. Gli anni della sicurezza sociale, della progressione professionale ed economica, quello delle soddisfazioni, insomma. Basta saper attendere, ma lui è ormai un campione, in materia.

Infatti, lavora con gli stipendi quasi più bassi d’Europa per altri 35 anni e intanto cova quella splendida attesa che si chiama meritata pensione.

E attende… e attende… Di tempo ce n’è, perché la pensione è come quei lumicini che ci sono nelle favole, quando un bambino si sperde nel bosco e va a finire nella casa dell’orco. Solo che il lumicino della pensione lo tirano indietro mano a mano che il lavoratore va avanti. A cinquanta anni, il nostro laureato ha ancora dodici anni da lavorare. E cinque anni dopo? Ancora e sempre dodici. E cinque anni dopo? Probabilmente sempre e comunque dodici. Del resto, abbiamo detto che l’attesa è davvero bellissima. Come diceva il Poeta: è il vero momento godibile. Per questo lo Stato ce la allunga a dismisura. Per farci godere come ricci.

Però, un bel (?) giorno ci si accorge che questa attesa inizia a fare  a pugni con un altro concetto di attesa. E quest’idea antagonista che come un tarlo inizia a entrarti nel cervello si chiama “aspettativa di vita”. Così, quando lo Stato ti comunica di averti regalato per l’ennesima volta un paio d’anni di quell’attesa gioiosa, piena di aneliti e speranze, capisci che il sistema sta funzionando come una pressa per rottami di ferro. Perché mentre l’aspettativa di vita quando va bene rimane fissa ed immutabile, l’attesa della pensione, invece, continua a funzionare come il lumicino delle favole e allora lo spazio tra le due situazioni si fa così piccolo da poter sentire lo stridio dei rottami di ferro che poi sarebbero i tuoi miseri resti di docente.

Ebbene, un giorno, ti decidi. Decidi di capire cosa sarà realmente “il giorno di festa”. Perché il “sabato del villaggio” è agli sgoccioli e conviene sapere in anticipo, a grandi linee, cosa ti riserverà la domenica.

È più semplice di quello che ti aspetti. Ci sono cento siti, online, in grado di calcolare il gioioso finale di partita. Del resto, non dovrebbe essere una grande sorpresa. Il collega che si è pensionato solo qualche anno fa, ha l’importo mensile superiore a quello dell’ultimo stipendio. Tu non osi sperare in tanto. È vero, ci sono state parecchie novità fiscali, in questi anni. Sai che il paese di Cuccagna, se mai c’è stato, è chiuso per restauri.

Ti basterebbe qualcosa di meno. Magari, una riduzione del 10% potrebbe andare più che bene. Perfino il 20% sarebbe accettabile.

Inserisci i dati, fiducioso. Anno di nascita, importo lordo dell’ultimo stipendio, numero di anni di contributi… Dapprima ti esce la data di pensionamento e già speravi in qualcosa di meglio (sono riusciti a spostare il lumino ancora di quasi due anni, ma si è nati in questa valle di lacrime e allora soffriamo).

Guardi con una certa fiducia il dato della contribuzione totale: quarantadue anni e sette mesi. – Insomma, niente male… – pensi, considerando che in quella cifra ci sono anni di sacrifici e di progressive disillusioni. Ci sono, più o meno, 24.000 verifiche corrette (per questo non c’è il simulatore, il conto va fatto a mano).

Ma qui, consentiteci, facciamo una piccola pausa e torniamo un’ultima volta a parlare del nostro amico lavoratore precoce. Perché lui, che come sappiamo ha iniziato a lavorare a quindici anni, in pensione c’è già arrivato da nove, ossia da quando ne aveva 53, mentre a te di lavoro ne mancano ancora sei. Se ha provato a compilare anche lui la scheda del simulatore, avvalendosi di una cospicua parte retributiva e di altre amenità tecniche, ha ottenuto un importo di 1790 euro netti mensili (per intenderci, così scopriamo le carte, lavorava in un autogrill sull’autostrada, a fare panini e vendere ciucci di zucchero), cifra che infatti ritira regolarmente dai predetti nove anni, standosene comodamente a casa a guardare programmi sportivi.

Mentre tu…

Mentre tu, con 42 anni e sette mesi di contributi avrai diritto a…

Prendiamoci qualche secondo per permettere ai lettori di pensarci un attimo e fare delle ipotesi. Vediamo chi indovina.

Ne approfittiamo per ricordare che sulla A 94, al chilometro 45 presso il punto di ristoro Autostarr, poco prima dell’uscita Piottarello – Vardesco – Casamiccola, Pinuccio Spatola vi attende al banco dei tramezzini con il nuovo “rustichello di Valsassola” (pomodoro, melanzane grigliate, salsa di soia, tofu). Se lo vedete ridere, non fateci caso: pensa ad un suo compagno delle elementari che si è laureato.

Torniamo a noi. Chi ha indovinato? Non barate, mi raccomando.

Lo leggi una decina di volte, prima di capire che non si tratta di un errore o di una tua svista. Sono proprio 1470 euro. Il giorno prima, docente di chiara fama, quello dopo, di fame chiara (e innegabile).

No, non è vero, non è cambiato nulla: sei solo lo scemo del sabato del villaggio.

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