L’emergenza Covid ha dato nuovo impulso e nuove motivazioni al volontariato; per aiutare gli altri, ma anche se stessi
Di Minnie Luongo
Prima ancora di cercare il profilo Whatsapp di Elena Bellani, ero certa che accanto alla foto che la ritrae con il nipote decenne Leone, entrambi con mascherina antiCovid, avrei letto “Disponibile” (Available in inglese, la formula standard che l’applicazione propone a chi si iscrive). Perché ero così sicura che la signora Elena non avesse scelto un motto più fantasioso e accattivante, come fa la maggior parte di noi? Semplice: perché la sua vita è tutta improntata all’idea di volontariato, di gratuità e di apertura nei confronti del prossimo.

Il profilo Whatsapp di Elena Bellani
“In realtà- spiega la Bellani, sessantotto anni splendidamente portati – avrei voluto dedicarmi al volontariato attivo molto prima e molto di più, ma la famiglia (un matrimonio a soli vent’anni, due figli, un nipote e due cani) in aggiunta ad una professione nel campo immobiliare, mi portava via quasi tutto il tempo per essere sempre disponibile”. Ma appena le è stato possibile ha scelto Telefono Amico, dove per sette anni ha tenuto corsi di formazione. “Quindi sono entrata in Avo, Associazione Volontari Ospedalieri, dove mi sono occupata di tutoraggio, di attività nel reparto di Chirurgia e di altro ancora, per poi approdare al Pronto Soccorso, diventandone responsabile. Tutte esperienze che mi fanno ripetere ciò che si sente dire spesso ma, assicuro, non è retorica: aiutando si riceve molto più di quanto si dà”.
Anche per il volontariato il lockdown ha cambiato molte cose
Anche per Elena è poi arrivato il periodo di lockdown, da marzo in poi, “particolarmente duro”, ricorda, “non solo per gli anziani cui era consigliato di restare in casa il più possibile, ma anche, se non di più, per i tanti volontari Over60 che non potevano prestare aiuto per i servizi all’esterno se non con rigide autocertificazioni”. Comprensibilmente, erano soprattutto i più giovani a svolgere questo tipo d’interventi: fare la spesa, commissioni varie, o accompagnamento in ospedale.

Elena Bellani risponde ad AscoltoAvo durante il lockdown
“In effetti, per i senior è stato frustrante non poter essere concretamente d’aiuto, come fossero volontari di serie B”, conferma Francesco Colombo, presidente Avo Milano dal 2017. Un altro veterano del volontariato, che vanta un’esperienza di vita fortemente coniugata con il Terzo settore e il non profit: si è occupato di fund raising per l’Anlaids (Associazione nazionale per la lotta contro l’Aids), fino a quando anni fa, ricoverato al Policlinico milanese, ebbe modo di conoscere alcuni volontari dell’Avo, l’Associazione fondata nel 1975 a Milano che oggi conta circa 240 sedi impegnate in oltre 700 tra ospedali e altre strutture di ricovero in tutta Italia.
Un numero di telefono per non restare soli
A quel punto, Colombo si rese conto che il “volontariato d’ascolto” gli era più congeniale rispetto a quello “di relazione” e decise di entrare in Avo, avviando un percorso che l’ha portato a ricoprire la carica attuale . “ Proprio la necessità di trovare una collocazione adeguata ai volontari più maturi fu uno dei motivi per cui, esattamente l’8 giugno scorso, demmo il via ad AscoltoAvo”, prosegue il presidente dell’Associazione, “con trentatre persone che si alternano al telefono, coordinate per l’appunto da Elena Bellani, volontaria forte della personale esperienza d’ascolto in altre realtà non profit”.
“Nulla fu lasciato all’improvvisazione”, precisa la responsabile di AscoltoAvo (il numero è 342 813 5611 aperto a tutti, da qualunque città o paese si chiami). “Per questo, prima di lanciare concretamente l’iniziativa, abbiamo condiviso video-conferenze con una psicologa specializzata, seguito una formazione che ho gestito io stessa, simulato delle videochiamate per ottimizzare la preparazione dei volontari (forse meglio, delle volontarie, visto che gli uomini sono solo tre). Confrontandoci sempre fra noi sul che cosa rappresentasse l’ascolto durante il lockdown, un periodo in cui non si poteva fare nulla e i disagi e gli sfoghi crescevano in modo esponenziale”.
In Italia c’è un esercito di volontari colti e impegnati professionalmente

Non si tratta di un caso isolato, a conferma del valore che riveste per gli italiani la gratuità e il desiderio di impegnarsi per dare una mano agli altri: l’emergenza Covid ha fatto da volano per i 7 milioni di volontari impegnati nel nostro paese (circa 4 milioni attraverso una o più organizzazioni; altri 3 milioni direttamente, individualmente, potremmo dire informalmente, cioè con nessuna intermediazione organizzativa). Per capire chi sono stati i più impegnati nell’emergenza guardiamo alla fotografia che emerge da una ricerca dell’Università di Padova su 630 volontari: per la gran parte si tratta di donne (66,6%), età media 40 anni, di nazionalità italiana per il 92,3%. Sono colti: nel 54,5% dei casi sono laureati, il 7,7% ha un master e circa un terzo un diploma di maturità. La quasi totalità è già impegnato professionalmente: solo il 4,3% dichiara di essere disoccupato e l’1,7% di essere in cerca della prima occupazione. Ma forse il dato più confortante di questo studio è aver registrato che questa pandemia è stata – per il 28,9% degli intervistati – l’occasione per impegnarsi per la prima volta in un’attività di volontariato.
Particolarmente importante in un momento in cui tanti si sono sentiti soli di fronte all’emergenza:
“L’ascolto in quel periodo si è rivelato un vero salvagente, non solo per chiunque sentisse il bisogno di parlare, ma anche per me che sono una persona iperattiva e soffrivo nel non poter scendere materialmente in campo per fare la mia parte”, ricorda ancora Elena. “E’ stato anche un modo per scongiurare il pericolo che con l’isolamento andassi incontro ad una sorta di lockdown mentale, e mi si chiudessero le cosiddette celluline grigie, per dirla con Hercule Poirot…”.

Aiutare con impegno e rispetto
Purtroppo, anche l’impegno deve fare i conti con le difficoltà pratiche: “Dopo tanta preparazione le prime telefonate stentavano ad arrivare: il passaparola non era sufficiente e i costi per pubblicizzare AscoltoAvo sui mezzi pubblici o sui taxi erano proibitivi”, ricorda Elena. “Quando giunsero le prime timide chiamate ci rincuorammo”. Per lo più si trattava di anziani, che non potendo fare la solita passeggiatina quotidiana scambiando qualche parola con vicini o negozianti, avevano un estremo bisogno di chiacchierare e anche di raccontarsi. “Fece eccezione un uomo di circa 40 anni, su una sedia a rotelle, che dopo aver chiamato spinto dalla curiosità, mi confidò di non trovarsi bene rinchiuso nell’ambito familiare e, inoltre, di essere molto arrabbiato col mondo intero e con la vita stessa”, racconta ancora Elena. Un contatto che purtroppo si è interrotto dopo qualche colloquio: “Capimmo che preferiva non essere contattato, cosa che invece chiedevano le persone sole, chiuse in casa e senza interessi particolari. Mi spiacque molto, però l’ascolto deve essere gestito sì a 360 gradi, ma sempre con il massimo rispetto e l’impegno di non strafare. Neppure quando si desidera aiutare”.

Fare volontariato dà valore alla vita
La storia di Elena Bellani ricalca quella della maggioranza dei volontari: si può imparare a fare volontariato, ma se non è già nel DNA ci deve essere una specie di molla che fa scattare questa attitudine all’aiuto gratuito. Proprio come quella dell’emergenza Coronavirus, che secondo una ricerca realizzata nel maggio scorso da CSVnet Lombardia ha svelato una luce inaspettata nell’animo di molti: il 27,7% dichiara di apprezzare di più il valore della propria vita, e il 22,9% prova un maggior senso di vicinanza con le persone.
All’indagine hanno risposto 1.062 enti, in massima parte organizzazioni di volontariato o promozione sociale, rimaste operative nel lockdown nel 70% dei casi e in un caso su due direttamente impegnate in attività legate all’emergenza: in prevalenza servizi di consegna di cibo e farmaci, compagnia e vicinanza telefonica e telematica, educazione a distanza, ma anche raccolte fondi, trasporto sociale e volontariato sanitario.
I destinatari principali di questi interventi coincidono con le fasce più a rischio della popolazione rispetto alla minaccia del Covid-19: anziani in primis, seguiti da cittadini in quarantena, e poi persone con disabilità e minori. Uno scenario preoccupante che difficilmente migliorerà nell’immediato futuro. “I nemici principali da battere sono la solitudine e la povertà”, conferma Elena Bellani. “Una situazione drammatica anche a fronte della drastica riduzione delle entrate prevista dalla maggior parte delle associazioni. Per questo speriamo che sempre più persone chiamino il nostro numero. Noi ci siamo, sempre”.