Le persone con disabilità fanno all’amore?

Disabili e sesso, non perdiamoci un’occasione

Di Antonio Giuseppe Malafarina – giornalista e blogger

Fare all’amore è una festa. Almeno dovrebbe. Non sempre è tempo di baci sotto il vischio e in intimo rosso, come durante il Natale. Ogni tempo è buono per amoreggiare ma per alcuni è atto difficile. Credo che molti si siano chiesti se le persone con disabilità possono fare all’amore o, più prosaicamente, se possono fare sesso. È un discorso complesso con una risposta che io ritengo doverosa, semplice e universale, ma bisogna arrivarci.

Innanzitutto diciamo che esistono patologie e problematiche di vario genere che allontanano dalla pratica amorosa. E questo riguarda la collettività degli abitanti il pianeta Terra. Il punto di partenza, dunque, è questo: come guardando a una persona qualunque non la riteniamo impedita alla pratica sessuale, così dovremmo fare con le persone con disabilità. L’essere in carrozzina in molti casi non inibisce la funzione fisica degli organi preposti alla sessualità, per entrambi i sessi. Ma la disabilità non è solo quella delle persone sulle ruote. Apparentemente una persona che non vede oppure non sente può non avere problemi sotto questo punto di vista, o averne pochi. Una persona con un disagio psichico o relazionale, al contrario, può averne molti. Questo perché benché l’apparato fisiologico funzioni perfettamente quello mentale può non essere avvezzo alla pratica. Ci può essere, per esempio, un rifiuto del rapporto fisico per il naturale disagio che una persona con una di queste disabilità prova nei confronti dell’altro ( infatti, sappiamo che alcune disabilità rendono l’altro una persona ostile, malaccetta). Ci possono essere paure di un ignoto che la società porta a rendere più misterioso, con i propri tabù sulla sessualità.

 Non tutte le persone con disabilità sono abituate a vedere la nudità altrui e accostandosi possono provare paura, se non orrore. Ma generalizzare non è corretto. Se non esiste di fatto un’educazione sessuale per l’adolescente ordinario, tantomeno esiste per le persone con disabilità che sino a non molti decenni fa vedevano trascurata questa opportunità dagli stessi operatori. In alcuni casi si interveniva per inibirla. C’è, quindi, tutto un aspetto sociologico da tenere in considerazione quando si pensa alla sessualità e soprattutto a quella delle persone con disabilità. Peraltro la disconoscenza dell’altro, spesso ingenerata da questo generale tacere, comporta un’altra grave e fondamentale carenza, cioè quella di affettività. I due aspetti non necessariamente si fondono, ma frequentemente si incrociano; pertanto,  se per una persona è difficile concepire la carezza di un’altra, perché una certa diffusa cultura ignora le persone con disabilità al punto da negare un tale gesto d’affetto, ancora maggiore è concepire la possibilità di giovarsi di un atto sessuale.

La letteratura in questo campo si perde, soprattutto negli ultimi anni. Quelli dove anche la cinematografia ha iniziato a trattare la questione della sessualità delle persone con disabilità, pur lasciando ancora insoluto il problema. Pertanto siamo di fronte a un problema di rapporto, di rapporto con l’altro che la società, tutti noi, deve imparare ad affrontare iniziando a concepire che le persone con disabilità non sono asessuate. Non hanno neppure un diritto all’amore, perché nessuno ce l’ha. L’amore non è un diritto, ma la negazione al poterne affluire diventa prevaricazione. In buona sostanza, bisogna costruire una cultura dell’amore, o del sesso. Anzi, dell’amore e del sesso.

Tornando alle questioni funzionali della persona, va detto che in anni recenti si sono sviluppati interventi per favorire i rapporti di coppia. Esistono servizi specializzati, farmaci e persino ausili preposti, come certe carrozzine che dovrebbero favorire l’atto sessuale. Ci sono poi vere e proprie aberrazioni, come quella delle persone che si innamorano delle protesi e provano piacere sessuale con questi strumenti o con le parti del corpo preposte, per esempio le parti di gamba dove la protesi si innesta. Questo non riguarda persone con disabilità, ma persone senza disabilità che vivono questa dimensione nel rapporto sessuale.

Ha suscitato polemiche l’introduzione dell’assistente sessuale, non una persona che vende il suo corpo ma uno specialista formato per aiutare la persona ad affrontare la sessualità. In molti Paesi esteri esiste, mentre in Italia non c’è una regolamentazione: non si vuol creare un alter-ego della prostituzione, si deve capire a chi concederlo e con che modalità, e non deve riguardare strettamente il sesso. Si sta riconoscendo ad esso il ruolo di operatore all’emotività, all’affettività e alla sessualità (O.E.A.S.). Intanto alcuni ricorrono alla prostituzione e nell’adolescenza i genitori, soprattutto le madri, provvedono a soddisfare gli istinti con pratiche onanistiche.

Riassumendo, ci troviamo di fronte a una certa quantità di persone con disabilità che devono essere guidate, assistite, nel rapporto con la sessualità coinvolgendo specialisti a tutti i livelli, e c’è una società che deve concepire la sessualità dei disabili, cui non è concesso l’amore per diritto ma cui neppure deve essere negato per impreparazione. Emerge la necessità di migliorare la fruizione del rapporto con l’altro, anzi di costruirla completamente: da una parte la persona con disabilità guidata alla conoscenza del proprio corpo e delle funzionalità amorose, e dall’altra la società che deve favorire la relazione con l’altro disabile, non perché obbligata ad amarlo o a espletare le sue funzioni sessuali, bensì per non precludersi la possibilità di godere della relazione anche con le persone disabili. Questo apre la strada alla fruizione dell’affettività, da ambo le parti. Forse è più di affettività che di sessualità che abbiamo bisogno. E dovremmo riflettere su quanto possa fare meglio nei momenti di difficoltà la presenza di una persona affettuosamente vicina piuttosto che di una sessualmente disponibile. E qui il cerchio si chiude, con una riflessione molto personale. Ciò che contraddistingue un rapporto intenso, anche e prevalentemente carnale, è la complicità fra le parti. E questo riguarda tutti, perché un salutare connubio non può prescindere dalla capacità di andarsi incontro l’uno all’altro con consapevole giocosità. Ed è questa la risposta alla sessualità di cui parlavo in apertura e che prescinde dalla piena funzionalità delle funzioni preposte al sesso: complicità. Quando c’è questa, sempre, ci si appaga con entusiasmo fisico anche solo sfiorandosi la punta del naso.

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