Picnic con formiche

Le scampagnate felici della mia infanzia

Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

Sono soprattutto due le cose che mi vengono in mente quando ripenso ai picnic della mia infanzia: l’insalata di riso preparata da mia madre, e le formiche. All’epoca, parlo dei primi anni ’60, per i romani le scampagnate erano una solida tradizione, e in primavera i miei genitori organizzavano delle sobrie trasferte portando in un luogo ameno, in genere una pineta, un cesto di vettovaglie, una coperta e qualche altro genere di conforto, di solito una radiolina, oltre a libri e giornali.  

Il piatto forte del menù era spesso un’insalata di riso con tonno e olive: non ricordo di averne mai mangiate di così buone, e sospetto che a renderla tale fosse una dose generosa della maionese fatta in casa da mia madre. A volte, in alternativa, c’erano spaghetti freddi conditi con salsa di pomodoro e basilico, anche in questo caso nettamente superiori a tutte le paste fredde mangiate negli anni successivi.

Per la mia generazione e per quelle precedenti, il picnic è soprattutto un’occasione per stare in contatto con la natura, mangiare nel verde senza formalità e magari riposare sotto un albero. Ed è curioso pensare che all’inizio il termine definisse delle feste campestri in cui c’erano sì un buffet imbandito e divertimenti, ma non necessariamente all’aperto. E anche i primi pranzi all’aperto erano ben diversi da quelli attuali: niente panini e uova sode e soprattutto niente formiche. Durante il diciottesimo secolo erano i nobili a organizzare queste scampagnate, spesso a margine di una battuta di caccia, supportati da un corteggio di servitori che imbandivano tavolate all’aria aperta e a volte cucinavano le prede appena catturate.

Sembra che la tradizione di organizzare queste scampagnate sia nata in Francia, e si sia poi diffusa in Europa dopo la rivoluzione francese quando gli aristocratici sfuggiti al Terrore hanno esportato le loro usanze: tutti noi abbiamo visto, in film come Emma, tratto dal romanzo di Jane Austen, spedizioni organizzate con cura in cui le vivande portate da casa erano servite con una certa eleganza, anche se l’occasione consentiva un atteggiamento meno formale e i divertimenti organizzati erano considerati un’occasione propizia per il corteggiamento.

Successivamente i pic nic sono diventati assai più spartani: il termine stesso, diffusosi dalla fine del diciassettesimo secolo, dovrebbe derivare dal francese piquer (prendere, spilluzzicare) abbinato all’arcaico nique (piccolezza, cosa di poco valore). Con lo sviluppo della società borghese il picnic assume un aspetto simile a quello moderno: la consumazione di un pasto informale tra amici o in famiglia, per passare qualche ora in allegria sui prati, in riva ad un fiume o sulla spiaggia.

E’ l’immagine che ci rimanda Le Déjeuner sur l’herbe, (Colazione sull’erba) di Édouard Manet, i cui partecipanti consumano un semplice spuntino: l’incongruenza, che all’epoca suscitò non poco scandalo, sta nella nudità della ragazza ritratta accanto ai suoi compagni vestiti di tutto punto.

Agli inizi del ‘900 nascono poi i cestini da picnic, corredati di tutto quanto può occorrere per mangiare con qualche comodità, e le prima riviste femminili fanno a gara per proporre le ricette più adatte – cibi poco sporchevoli, facili da trasportare e che non soffrano troppo il caldo- mentre oggi ristoranti e negozi di gastronomia offrono cestini già pronti e le attrezzature necessarie.

Non resta che sfidare le due grandi incognite di ogni picnic che si rispetti: il meteo e le formiche. Per me, a dire la verità, queste ultime non rappresentavano un grande problema, anzi… Le ho sempre amate molto, complice anche un libro sugli insetti che mi era stato regalato e avevo letto con passione.

Certo, non gradivo trovarle nel panino, ma una volta finito di mangiare, le infinite varietà di formiche che popolavano la pineta di Castelfusano – piccole, grandi, nere, rosse o bicolori, aggressive o industriose – mi offrivano una gradevole distrazione fino all’ora di andare via. Mi bastava osservarle, magari disturbarle mettendo qualche ostacolo sul loro cammino o vedere come si comportavano con le briciole o i pezzetti di cibo che non mancavo mai di mettere da parte per loro. Senza formiche, in fondo, il picnic sarebbe stato assai meno divertente…

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