Domenica con mamma e papà

…con fagioli corallo e albicocche

Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico

“All’ora di pranzo arrivavano le donne. Gli uomini smettevano di mietere. Dall’alba, dopo tutto quel tempo nel campo, sotto al sole era ora della pausa. Bevevano, riarsi per il lavoro abbacinati dal giallo del grano e dalla luce sfrontata di tutta la mattina fissa negli occhi, bevevano direttamente dalle brocche- mi raccontava mio papà ricordando le sue estati su a Valle Cupa, che sta più in alto sopra Baiano di Spoleto. Lo faceva facendomi sentire come possa esser di ristoro bere acqua o anche vino dalla brocca di coccio e come fosse dura la mezzadria. Così facendo raccontava la sua educazione e dava forma al mio gusto, che cresceva immaginando e ascoltando il suo. Un sapore dell’estate, con tanti ricordi.

Erano i bambini che portavano le brocche, giungendo assieme alle donne che recavano dentro le tovaglie dei grandi piatti con i bordi alti. Si mangiava tutti insieme condividendo da questi piatti, ciascuno con la sua posata e affettando il pane che con generosità veniva inzuppato dell’intingolo e addentato con passione consapevole e rispettosa, accompagnando la pietanza. Pane cotto a legna, che si affettava e si distribuiva. Quello più vecchio andava bagnato con pomodori, cipolle e basilico e un po’ di aceto, magari qualche cetriolo. SI mangiava tutti insieme e la fatica faceva il paio con la soddisfazione grata, perché quello che si stava gustando era stato cucinato ed era stato allevato dalle stesse mani che lo avevano colto, portato sin là e adesso masticato. Una dimensione fisica rispettosa della fatica di cui i gesti dell’allestire e del mangiare erano l’esito.

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Mario Luigi, mio papà, dopo anni ancora si muoveva così tra piatto, pane, bicchiere di vino. Aveva un modo di gustare ciò che aveva nel piatto che era equo e giusto. Mi ha insegnato ad affettare il pane in modo tale da render possibile a chi lo affettasse dopo di me di aver lo stessa quantità di crosta e mollica. E lo stesso con il prosciutto, insegnandomi a lasciare il taglio al meglio, e poi anche con il formaggio, perché all’ultimo non restasse solo la crosta. Gustare con consapevolezza è pensare agli altri e condividere. Farlo da soli è sterile autoerotismo, che non dà soddisfazione alcuna, e lascia tristi.

I gesti con cui papà prendeva il pezzo di pane per porlo nell’intingolo, raccoglierlo e poi portarlo alla bocca sono stati per me un po’ Flaubert un po’ Dumas – educazione lessicale e godimento avventuroso. Condividere la tavola e i discorsi e i sapori e i profumi è stata la mia educazione sentimentale. A tavola questi racconti forse erano fatti intenzionalmente. L’esito di cronache dalla campagna è stato di incuriosire e non render distratto l’atto di assaporare e annusare qualunque cosa, indipendentemente se fosse semplice o sofisticata. Una modalità per dar valore al gesto alle cose e al lavoro degli uomini e delle donne, nei campi o in cucina – proprio per sottolinearne la continuità. Questo per me è il gusto.

“Tra i grandi piatti ce n’erano alcuni con la bandiera e altri con i fagioli corallo…”

La bandiera è tipica preparazione umbra. Cipolle bianche, pomodori maturi, peperoni verdi e c’è chi ci mette le zucchine – e in quei piatti di cui mi diceva papà c’erano- e basilico. Tanto intingolo profumato per intingere il pane. I fagioli corallo si fanno cuocere nella padella dove tanta cipolla bianca ha soffritto e si è legata ai pomodori maturi cui si è aggiunta un po’ di salsa. Ne esce un intingolo corposo, costituito dalla dolcezza della cipolla contrastata dall’acidulo del pomodoro e la croccantezza erbacea dei fagiolini piatti. “Il pane, il pane sciapo cotto a legna tuffato in quei piatti non mi scordo né gesto né sapori né gioia di stare insieme. Io ero ragazzino e mangiavamo tutti insieme…”, mi raccontava Mario Luigi.

Li ho cucinati così oggi e ho trascorso la domenica casalinga accudendo mamma e attendendo che venisse sera per gustarli con papà e con i ricordi. Li ho evocati parlando con l’anziana genitrice. Parlando di ricordi abbiamo concluso che sono davvero tanti quelli che se ne sono andati, purtroppo. Ma noi si sta ancora qui e ne raccontiamo.

“Ti vanno delle albicocche frullate? Sono come quelle che maturavano sull’albero nel giardinetto a Spoleto”

“Sì! Pensa che Paola ancora se ne ricorda, ne abbiamo parlato oggi al telefono…”

Paola, si conoscono dalle elementari. L’amica di sempre. Lei a Monza, mamma a Roma. Sono felice quando si parlano. Il numero lo faccio io…

“Pronto, sono Andrea, le passo mamma…”

“Non darmi del lei che mi fai sentire vecchia…”.

Ho frullato le albicocche.

“È vero, sono proprio come quelle che…”

2 pensieri su “Domenica con mamma e papà

  1. Il ritrovarsi a tavola era una sorta di liturgia, il cibo sacro e da rispettare fino all’ultima briciola, conservandolo al meglio. Nulla si buttava perché frutto di vera fatica, quella che piega invecchiando precocemente. Chi ha avuto esempi diretti conserva ancora questo rispetto e, al di là se sia riscoperta per qualcuno, la cucina povera, fatta di avanzi e poco altro è abitudine che non passa

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