Attenzione a non chiedere troppo a una scienza complessa come la meteorologia, nonostante gli strumenti sofisticati di cui oggi disponiamo
Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

Che tempo farà? Per noi Over, cresciuti con il colonnello Bernacca, l’idea stessa di previsioni del tempo era associata alla voce pacata con cui il capostipite dei meteorologi televisivi ci spiegava che tempo avremmo dovuto aspettarci e perché, aiutandoci a comprendere termini nuovi e un po’ esoterici come isobare e anticiclone. Nato a Roma nel 1914, Edmondo Bernacca era arrivato alla Rai quasi per caso negli anni ’50, e dal ’68 aveva condotto Il tempo in Italia, un programma da lui ideato dedicato alle previsioni meteorologiche. Ed è rimasto una presenza costante in televisione – spesso alternandosi col collega e amico Andrea Baroni – fino alla fine degli anni ’80. Non importa che all’epoca delle sue prime apparizioni televisive fosse capitano, e alla fine avesse raggiunto il grado di generale, per noi era e rimarrà il colonnello Bernacca, una di quelle figure iconiche – un po’ come il maestro Alberto Manzi – che la televisione di allora sapeva regalarci (Eccolo in una trasmissione conservata nell’archivio RAI https://www.teche.rai.it/2022/06/la-fabbrica-del-tempo-speciale-intervista/ )

Poi, Bernacca è andato in pensione, le reti televisive si sono moltiplicate e così le rubriche d’informazioni meteorologiche fino all’esplosione di internet che ha riempito i nostri strumenti di app che promettono certezze sul tempo che farà proprio nel nostro quartiere, e previsioni a distanza di settimane. Con le inevitabili polemiche che scoppiano ogni volta che l’annuncio di un week end di maltempo induce gli aspiranti vacanzieri a cambiare programma, scatenando le ire di albergatori ed enti turismo. Ma anche in casi più gravi, quando – come è purtroppo successo in questi giorni – si verifica un evento catastrofico apparentemente inatteso.
Il risultato comunque – con grave disappunto di chi come me, si appassiona al tema – è che l’incertezza regna sovrana. Perché ogni sito o trasmissione dice la sua, ed è difficile che due previsioni diano indicazioni analoghe. Così fioriscono dibattiti su chi giura sulle previsioni svizzere – utili però solo per l’Italia settentrionale -, confida in altri siti, o si limita a guardare dalla finestra se ci sono nuvole in vista. E gli ottimisti finiscono con l’affidarsi alle previsioni più incoraggianti – qualunque cosa voglia dire – mentre agli altri resta l’imbarazzo della scelta e la gioia di polemizzare su “temperature percepite“ e previsioni puntualmente smentite dai fatti.

Eppure siamo in un’era in cui computer e strumenti di calcolo dovrebbero rendere le previsioni sempre più affidabili. Come giustificare tanta incertezza? C’è da dire che la meteorologia nasce millenni fa: in epoca babilonese le previsioni del tempo s’intrecciavano con l’astrologia, dato che si attribuiva agli astri il potere di influire non solo sulle vicende umane, ma anche sui fenomeni atmosferici. Già nell’antica Grecia lo studio del clima cominciò ad acquisire un carattere scientifico, anche se dovranno passare millenni prima che nascano strumenti di misura più accurati come l’igrometro progettato da Leonardo, il termometro cui forse lavorò anche Galileo o il barometro ideato nel 1643 da Evangelista Torricelli. Ancora più recenti sono i sistemi di classificazione atmosferica cui hanno dato un contributo essenziale Luke Howard e Francis Beaufort, con i rispettivi sistemi di classificazione delle nuvole (1802) e della forza del vento (1806). Mentre negli ultimi decenni, a partire anche dall’avvento dei satelliti, l’evoluzione della meteorologia è legata all’affinamento dei modelli e delle relative tecniche di elaborazione.
Anche se proprio in questi anni di entusiasmo per una scienza sempre più precisa gli studi del matematico Edward Lorenz, fondatore dell’odierna teoria del caos, ci aiutano a capire i limiti insiti anche nei modelli più efficaci. E’ proprio dal titolo di un suo articolo che viene la nota espressione “effetto farfalla”, secondo cui un battito di ali in una zona del pianeta sarebbe in gradi di generare un uragano.
Le cose ovviamente sono anche più complesse, e le ragioni per cui è difficile fornire previsioni esatte sono varie: sappiamo che le previsioni a lungo termine sono spesso inattendibili, e poco prevedibili i fenomeni localizzati, come un temporale, rispetto per esempio all’andamento delle temperature.
Anche la conformazione del nostro Paese non aiuta, generando migliaia di variabili. Ricordo che nel mio primo viaggio a New York, qualche decennio fa, ero rimasta colpita dalla precisione delle previsioni, e mi fu spiegato – ma chissà se è vero – che lì molte perturbazioni viaggiavano senza incontrare ostacoli rendendo facile prevederne l’arrivo.
Attenzione dunque a non chiedere troppo a una scienza complessa: i meteorologi spiegano che la domanda “che tempo farà domenica?” è essenzialmente sbagliata, e che dovremmo invece chiederci quale sia la probabilità che domenica piova o ci sia il sole. Un’incertezza che non vale purtroppo per la crisi climatica che stiamo vivendo, realtà incontrovertibile che genera disastri e ancor più ne genererà in futuro senza un drastico intervento. Una ragione di più per rimpiangere tempi più sereni e la voce rassicurante del colonnello Bernacca.
