L’attesa

Letterine e presepi, ricordi di Natali passati riposti nei cassetti della memoria

 Di Rosa Mininno – psicoterapeuta, ambasciatrice della lettura per il centro del libro MiC (Ministero della Cultura), e presidente della Scuola Italiana di Biblioterapia

Ve ringrazio de core, brava gente,

pé ‘sti presepi che me preparate,

ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,

si de st’amore non capite gnente…

Pé st’amore sò nato e ce sò morto,

da secoli lo spargo dalla croce,

ma la parola mia pare ‘na voce

sperduta ner deserto, senza ascolto.

La gente fa er presepe e nun me sente;

cerca sempre de fallo più sfarzoso,

però cià er core freddo e indifferente

e nun capisce che senza l’amore

è cianfrusaja che nun cià valore.

Trilussa – Er presepio

Presepe in piazza diSpagna , a Roma

Questa poesia di Trilussa in dialetto romanesco esprime bene il senso del Natale, della sua rappresentazione scenica nel presepe, voluto in quel di Greccio – in provincia di Rieti – da quel Santo rivoluzionario, pacifista, coraggioso che fu Francesco, stella luminosissima nel nostro firmamento religioso.

Il presepe, che solo la Notte di Natale si completa con la statuina di Gesù Bambino nella greppia, se realizzato con fede e amore è fatto di attesa, l’attesa di una nascita, “quella” nascita di un Bambino speciale, che nasce, cresce e muore ogni anno. E ci parla d’amore, di gioia e stupore.

Ricordi affiorano alla mente uscendo dai cassetti della memoria dove conserviamo i vissuti, le emozioni, i volti, le parole, le azioni. Non c’è bisogno di chiavi, quei cassetti sono sempre aperti anche se spesso, concentrati sul presente, non ci guardiamo dentro. A  volte sono in gran disordine, altre volte ordinati, e in quel caso, con chiavi speciali, possiamo guardarci dentro più profondamente.

Quando guardiamo con gli occhi interiori liberi da ogni miopia lasciamo che i ricordi arrivino ai nostri occhi fisici per essere visti e capiti, ma possono anche essere narrati. E il Natale è anche la bellissima e misteriosa narrazione di un uomo e una donna unici, un uomo e una donna di duemila anni fa, e di “quel Bambino” che fu ed è un dono di Dio. È la narrazione astronomica di una fulgida Stella Cometa arrivata dal cosmo sulla Terra per guidare le genti e i Re Magi fino alla mangiatoia dove, trascorso il tempo dell’attesa, viene deposto “quel” Bambino.

Sappiamo con certezza che a mezzanotte nascerà. Solo” Lui “brillerà di luce propria. Quell’attesa è bella e serena, nulla di brutto ci accadrà.

L’attesa del Bambino trascorre nell’inconscio mare calmo del ventre di Maria, quello stesso inconscio mare calmo che abbiamo conosciuto e vissuto nel ventre caldo di nostra madre. Ma non ne abbiamo ricordo… è l’unico che manca in quei cassetti aperti della memoria, in quelli disordinati come in quelli ordinati, eppure è quello che abbiamo certamente vissuto nel nostro corpo, sulla pelle, in quel primo battito del nostro cuore, nei protopensieri della nostra mente.

E il presepe… con il suo muschio bello, verde, vellutato, i personaggi, le casette, le luci e il laghetto e il fiume fatti con l’ovatta colorata con l’azzurro dei colori a tempera o con uno specchio, le montagne di carta e il cielo di carta stellata, i ciottolini raccolti in campagna, qualche pezzo di corteccia risparmiato dal fuoco del camino acceso per fare la capanna, un po’ di terra per i sentieri e la farina come neve per imbiancare tutto… tutto evoca ricordi infantili, e quella trepida attesa della nascita di Gesù Bambino, dei dolci e dei giocattoli di Babbo Natale e poi della Befana.

Per noi c’era anche l’attesa della lettura delle nostre letterine di Natale, la mia e quella dei miei fratelli, nascoste sotto il piatto di papà.

Erano belle quelle letterine, con il presepe dove c’erano gli Angeli, la Madonnina, San Giuseppe, il bue, l’asinello, i pastori, i Re Magi con i loro cammelli, la Stella Cometa e con il Bambinello che era già nella mangiatoia. Non dovevamo aspettare la mezzanotte del 24, Gesù era già arrivato nelle nostre letterine piene di porporina e di luccichini, in cui solennemente chiedevamo ai nostri genitori di perdonare i nostri capricci e altrettanto solennemente promettevamo di essere “ubbidienti, di non farli più arrabbiare, di voler essere buoni e studiosi”, chiudendo puntualmente con un solenne “Vi voglio bene”.

Alcune letterine le ho ancora.

Papà faceva finta di accorgersi solo per caso che sotto il suo piatto c’erano le nostre letterine, la mia e quelle dei miei fratelli, tutte assolutamente diverse. Compiaciuto, le leggeva una a una ad alta voce prima di mangiare mentre mamma, compiaciuta anche lei, sorrideva, nostra complice nell’acquisto e nella scelta delle letterine. Dopo la lettura, le promesse, le reciproche dichiarazioni d’amore si poteva cenare e aspettare la mezzanotte per mettere la statuina di Gesù, di terracotta dipinta, nella mangiatoia.

L’attesa era finita.

“Quel” Presepe di terracotta lo faccio ancora, e la mia attesa non è mai finita…

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