Il Coronavirus ha messo a nudo qualche egoismo ma anche molte iniziative di mutuo aiuto
Di Doris Zaccaria – giornalista e formatrice
La mia riflessione inizia con un fatto personale accaduto ormai un mese fa. L’emergenza non era ancora esplosa nei numeri e nel territorio. Mi trovavo a Ravenna, dalla mia famiglia, per celebrare un’occasione e per fare qualche visita.
Ci tenevo particolarmente a vedere mia nonna paterna, classe 1927, una persona importantissima per la mia vita. Da qualche mese la sua situazione di salute è peggiorata ma, nella sua lucidità e con la generosità che l’ha sempre contraddistinta, ha esclamato: “Magari potessi prendermela io, questa brutta malattia, per salvare qualcuno di più giovane!”
E così ho pensato a quello che ci veniva raccontato: che il Coronavirus, dopotutto, si portava via solo gli anziani, o le persone già malate …
Queste affermazioni – che sarebbero poi state almeno in parte smentite nelle settimane successive – avevano suscitato una sorta di sospiro di sollievo collettivo da parte di chi superficialmente si sentiva al sicuro. Quelli giovani, quelli sani, quelli con tanti anni davanti. Quelli per cui mia nonna avrebbe dato volentieri la sua, di vita.
Abbiamo visto tutti come, inizialmente, ci sia stata una sottovalutazione dell’enorme impatto di questo virus. In effetti si cerca sempre di minimizzare, di rifugiarsi nelle proprie sicurezze, allontanando tutto ciò che è scomodo e pauroso.
Ma, a mano a mano che i numeri crescevano, la consapevolezza si è fatta strada.
Anche i più smargiassi hanno iniziato a capire che il virus aveva sì una predilezione per i fisici debilitati, ma non disdegnava neppure le persone in buona salute. E poi tutti, o quasi, abbiamo iniziato a pensare ai nostri genitori, ai nostri nonni, ai nostri amici, compagni, insomma a tutti quelli che agendo con leggerezza avremo potuto perdere.
Una presa di coscienza collettiva che, quando è arrivata, ha consentito al nostro popolo solitamente anarchico di adeguarsi con velocità alle nuove restrizioni imposte dalla necessità di contenere il virus.
E intanto si sono fatte strada – organizzate da sindaci, associazioni o semplici cittadini – molte iniziative di aiuto reciproco. C’è chi si offre di portare la spesa a casa e chi mette a disposizione il proprio tempo per condividere ciò che sa fare, magari utilizzando gruppi Facebook o altri canali digitali.
Finalmente chi è meno vulnerabile cerca di prodigarsi per le categorie più a rischio e tutti ci guardiamo intorno con un po’ più di attenzione, perché è in questi momenti che un piccolo aiuto può fare davvero la differenza. Forse, però, di un aspetto dovremo occuparci ancora di più nelle prossime settimane. Chi rimane da solo a casa, lontano dai propri legami (che si tratti della famiglia o delle amicizie) rischia di ammalarsi di un male insidioso, quello della solitudine.
Molti privati cittadini aderiscono a iniziative per stemperare l’isolamento mettendosi a disposizione dei propri condomini, di cui magari fino a poco tempo fa non si conosceva neppure il nome. Anche l’ordine degli Psicologi della Lombardia ha lanciato un importante servizio di assistenza psicologica.
Un fiorire di iniziative che sembra indicare una rinnovata attenzione verso l’altro, e una maggiore consapevolezza che oggi come non mai siamo tutti connessi, over e under, in una battaglia difficile che si vince solo lottando insieme.