Che il prossimo Medioevo porti poi ad un Rinascimento?
di Giovanni Paolo Magistri – biologo
Appartengo alla generazione che ha vissuto da adolescente il periodo della ripresa economica italiana del secondo dopoguerra; la generazione che, con ingenua malizia, riusciva ad individuare tra i compagni coloro che percorrevano il quotidiano tratto casa-scuola provenendo da una cascina da quelli che risiedevano in paese, semplicemente guardando le scarpe imbrattate.
L’industrializzazione italiana degli anni Cinquanta ha comportato e contemporaneamente spinto alla rivisitazione di innumerevoli aspetti strettamente correlati alla gestione politica di un Paese: l’obbligatorietà della frequentazione scolastica, la tutela occupazionale, l’abolizione dello sfruttamento del lavoro minorile, l’incremento abitativo delle città, la meccanizzazione delle attività produttive, l’assistenza sanitaria pubblica; solo alcuni di quelli che mi vengono in mente.
L’innalzamento della durata della vita media della popolazione sembrerebbe deporre a favore di un giudizio positivo al riguardo, ma è altrettanto vero che oggi ci troviamo di fronte a problemi quali, per citarne solo alcuni, la necessità di contenere l’inquinamento da polveri sottili, la comparsa di nuove patologie interdipendenti con il “modus vivendi” nelle metropoli, la non equa distribuzione del cibo unitamente alla sua difficoltà per produrlo, il cambiamento climatico dovuto alle conseguenze della deforestazione del nostro pianeta.
Non desidero in questo contesto giungere al giudizio se fosse meglio il “prima” rispetto al “dopo”, ma semplicemente constatarne l’evidenza. Un interrogativo però viene spontaneo: che cosa ci spinge nella scelta dei cambiamenti e dei relativi comportamenti?
Per la filosofia “determinista” in natura nulla avviene per caso ma tutto accade secondo rapporti di causa-effetto e quindi per necessità; alcuni sostengono il “caso” motore portante del cambiamento; altri che il tutto sia assegnato a un progetto divino.
Indipendentemente dalle differenti dissertazioni filosofiche, la conclusione è quella di ritenere che tutto il nostro operato sia finalizzato a difendere fortemente la vita propriamente soggettiva a favore dell’affermazione della specie di appartenenza.
Gli esseri viventi hanno necessità di possedere energia disponibile per la lotta quotidiana finalizzata alla sopravvivenza; la scelta dei nostri comportamenti è concentrata ad ottimizzarne il dispendio. Vivere significa mantenere “ordine molecolare” al proprio interno, contrastando il divenire incessante e disordinato dell’universo; la conseguenza di tutto ciò è un incremento del disordine generale.
La morte di un individuo altro non è, dal punto di vista della termodinamica, che la mancanza di energia per impedire il disordine che il vivere stesso provoca in noi; siamo frutto del disordine, viviamo sforzandoci di mettere ordine e aumentiamo il disordine morendo.
La pandemia generata dal COVID-19 costringerà nei prossimi anni ad un profondo ripensamento su quanto sia necessario tenere in considerazione il rapporto uomo-ambiente per la scelta dei cambiamenti: una sorta di ridefinizione del nostro ruolo. Con tutta probabilità si sta avvicinando un nuovo Medioevo; quello precedente, come è noto, ha portato a uno dei cicli storici più interessanti per l’intera umanità: il Rinascimento.