Quando incontriamo una persona disabile ci troviamo in imbarazzo; ecco qualche suggerimento utile
Di Antonio Giuseppe Malafarina – giornalista e blogger
Di fronte a una persona che non vede ci troviamo a disagio. Non sappiamo se usare espressioni del tipo “ci vediamo domani”. Con le persone sorde è più bizzarro. Se hanno un’ipoacusia profonda e non le conosciamo ci viene naturale alzare la voce e scandire le parole, ma se fanno parte della nostra cerchia di conoscenze, per esempio se sono persone anziane che hanno progressivamente perso l’udito mentre noi eravamo loro accanto, le trattiamo con sufficienza.
Se ci capita di incontrare una persona in carrozzina che sembra avere lo sguardo da un’altra parte, appare goffa e ci dà l’idea di non capire, possiamo entrare nel panico. E di fronte a una persona con un problema psichico ci viene pure un po’ di paura.
Ma come si trattano le persone disabili? C’è un segreto per comportarci bene? Ogni persona è una persona a sé, quindi generalizzare è rischioso. Però ci sono accorgimenti che, in linea di massima, possono aiutarci a relazionarci con persone con differenti disabilità. Intanto c’è una regola fondamentale da osservare: ogni persona ha la sua dignità, dunque qualunque persona va affrontata col dovuto rispetto. Questa regola vale sempre. Applicarla significa non porsi in atteggiamento ossequioso, cosa che innalzerebbe una barriera, bensì provare a comprendere l’altro per stabilire una relazione paritetica. La prima cosa da fare, perciò, è catturare elementi senza interporre distanze e senza guardare l’altro dall’alto in basso. Bisogna capire sino a che punto spingersi nella comunicazione, anche considerando che a parità di condizione di disabilità c’è chi reagisce in un modo e chi in un altro.
Se facciamo attenzione, però, questo è quello che facciamo con tutti. Prima di comunicare con qualsiasi persona non cerchiamo forse di capire come dobbiamo comportarci? Solo che con le persone che ci sembrano uguali non abbiamo paura a farlo. La paura che ci aggredisce, per disconoscenza della materia, quando incontriamo una persona disabile fa parte di noi e non dobbiamo temerla. Senza paura di avere paura ma accettando la paura cerchiamo di creare empatia. Non abbiamo paura di rivelare la nostra ignoranza, la nostra fragilità, perché è sempre meglio rivelare la propria impreparazione che imporre la propria ignoranza. Non ostentiamo sicurezze che non ci appartengono e cerchiamo di mostrarci naturali come faremo con chiunque: l’interlocutore apprezzerà. Se c’è un accompagnatore consideriamone la portata. Ci vuole buon senso. Ci sono accompagnatori indispensabili, per esempio quelli che interpretano il linguaggio da usare con l’interlocutore, e ci sono accompagnatori di supporto, cioè quelli che aiutano la persona nelle sue funzioni, per esempio per cibarla o spingerne la carrozzina. Bisogna comprendere qual è la funzione dell’accompagnatore, e alle volte domandare con discrezione non guasta, regolandosi di conseguenza. Il ruolo dell’accompagnatore è fondamentale, quando c’è. È comunque il nostro tramite con la persona: ci può aiutare e sta a noi capire quando diventa superfluo.
Alle persone sorde può fare piacere usare la lingua dei segni, che pochi conoscono, ma sicuramente fa piacere guardarci in volto, anche per leggere sulle labbra. Quindi è bene parlare di fronte alla persona, non in controluce e senza scandire, ma anche senza mangiarsi le parole. Ci vuole misura e di solito la naturalezza paga. Incrociando una persona cieca è bene evitare di cambiare percorso improvvisamente perché rischiamo di togliere d’improvviso all’altro i nostri riferimenti. Bisogna rispettarne il cane guida, anche qui senza essere bruschi.

In generale, evitare di considerare la controparte un eterno bambino. Vezzeggiare è un comportamento adatto ai più piccoli; applicarlo alle persone adulte solo perché si trovano in una condizione di apparente ingenuità è lesivo della loro dignità.
Le persone con disturbi dello spettro autistico hanno una percezione differente della realtà rispetto a quella comune, pertanto considerare le loro reazioni improvvise esclusivamente come manifestazioni sconsiderate è quanto di peggio si possa fare. Così come considerare il loro silenzio disinteresse o svogliatezza. I disturbi dello spettro autistico sono moltissimi, ognuno da trattare a sé ma nell’insieme considerando che non abbiamo di fronte persone superdotate in un campo e stupide nel resto del loro fare. Dobbiamo inoltrarci piano piano nel loro modo di percepire le cose senza preconcetti.
Per quanto riguarda i disturbi psichici la casistica è smisurata, quindi l’unico suggerimento di massima che resta è quello da applicare sempre: trattare l’altro con rispetto, avvalendoci dei segnali che ci invia anche attraverso l’accompagnatore. Noi stessi possiamo in una certa misura diventare accompagnatori. Cioè fattori che facilitano il rapporto fra la persona disabile e l’ambiente, ricordiamocelo. Non dobbiamo avere paura di aiutare una persona con disabilità soffiandole il naso se la vediamo in difficoltà, per esempio. Non possiamo farlo in maniera improvvisata e impositiva, ma non possiamo neppure restare con le mani in mano. Dobbiamo capire, relazionarci senza paura di avere paura, come detto. Aiutiamo il prossimo anche senza timore di usare locuzioni comuni come fare due passi con chi è in carrozzina perché vietarsi l’uso di un linguaggio comune sarebbe discriminatorio. Sappiamo di avere paura. Portare con noi l’accorgimento di affrontare l’altro rispettandolo è la regola da non dimenticare mai.
Articolo interessante.
Utile a tutti, ma perché arrivare ad una certa età con il timore ad interfacciarsi con una persona con disabilità, timore causato dalla ignoranza. Questa è una sconfitta della scuola che dovrebbe fare azione di sensibilizzazione già alla scuola primaria, ma sopratutto durante la scuola dell’obbligo. Piccoli interventi di sensibilizzazione, che si ricordano per tutta la vita.
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