“Quanti animali ho in casa? Comprendendo me, 26”. Così, per far colpo, una trentina di anni fa rispondevo quando mi si chiedeva se possedevo animali. E in realtà era vero: un piccolo acquario con 23 pesciolini tropicali (il 23 è il “mio” numero, e quando ne decedeva uno, provvedevo subito a rimpiazzarlo), un cardellino e un cane.
Il primo animale a varcare la soglia di casa fu un cardellino, quando la vendita era ancora consentita. Un giorno ero in compagnia del mio futuro marito (quello del matrimonio che durò legalmente 7 mesi, per intenderci, e anche l’unico che ho avuto, ad essere precisi) in piazza del Duomo a Milano, dove ogni domenica vendevano piante e uccellini; detto fatto ne prendemmo uno. Come lo chiamiamo? “Pasqualino”, propose il fidanzato. Io lo ribattezzai subito Pulcino, detto Pulce.
Subito dopo fu la volta dell’acquario, un oggetto che avevo sempre desiderato (e che ho sempre posseduto, fino all’ultimo trasloco poiché, con sommo dispiacere, non c’è letteralmente spazio nel mio attuale miniappartamento). Comprai il cosiddetto “cubino”, un contenitore quadrato che piazzai al lato del letto, così che svegliandomi al mattino potevo guardar nuotare i miei amati pesciolini, il che mi induceva ad un’operosa tranquillità nell’affrontare la nuova giornata.
Pulcino cantava magnificamente e di continuo, a tal punto che, quando dovevo collegarmi in radio per qualche programma, ponevo uno spesso straccio sopra la gabbia, così da fargli credere che fosse notte e, pertanto, fosse ora di dormire. Aveva circa 9 mesi e (forse per via della muta) mi accorsi che stava sempre più spesso sul fondo della gabbia e non sul trespolo (brutto segno), finchè col mio fidanzato ci preparammo ad andare in ferie, in auto, fino in Calabria… Stupidamente, invece di affidarlo a qualche amico, lo portammo con noi. Per carità, il mio compagno gli aveva riservato i due sedili posteriori, con i vetri coperti da una fitta rete di bambù che impediva al sole di arrostirlo, e ci preoccupavamo sempre di posteggiare l’auto all’ombra, con un terzo dei finestrini aperti. Nonostante i nostri accorgimenti, tornando da una breve visita alle grotte di Castellana, lo trovammo morto stecchito (mai espressione, ahimè, fu più indicata). Il nostro programma prevedeva un pranzo ad Alberobello e un giro per i famosi trulli. Entrammo in un ristorante ma, una volta seduti, al cameriere che era arrivato a prendere la comanda, all’unisono rispondemmo che non avevamo fame e uscimmo. Guardammo distrattamente un paio di trulli (da allora li collego mentalmente a questo triste episodio) e poi, raggiunto il primo autogrill, seppellimmo Pulcino lì in terra di Puglia, tra i fiori recintati, attenti a non essere scoperti.
Pulcino II arrivò subito dopo, una volta tornati a Milano. Nel frattempo era entrato in vigore il divieto di vendere cardellini puri (per timore che se ne estinguesse la specie), ma si potevano acquistare i cosiddetti “ibridi di cardellino”. Lui cantava in maniera meno squillante ma mi fece compagnia per quattro anni e mezzo. Morì un venerdì sera di Pasqua, mentre lo assistevo e gli parlavo, dopo che ogni vitamina e altro rimedio consigliato non aveva dato risultati. Poi non volli più uccelli da tener chiusi in gabbia per quanto grandi esse fossero e mi concentrai sull’acquario, certa che i pesciolini sarebbero rimasti gli unici animali residenti in casa mia (oltre alla sottoscritta).
Devo dire che in quegli anni la mattina, prima di andare al lavoro, avevo un bel da fare: prima c’era da pulire la gabbia (lavoraccio!), rifornire Pulce di acqua fresca e mangime, più insalata e osso di seppia. Poi passavo all’acquario: ai tempi il termostato si regolava manualmente (la temperatura ottimale è fra i 24 e 27 gradi), con pazienza certosina contavo e ricontavo i pesci (che, come ho detto, dovevano essere 23, compreso il “pulitore”), mettevo il mangime, riaccendevo la luce all’interno che poi avrei spento la sera (cosa necessaria per tenere in vita i tropicali), toglievo col retino l’eventuale deceduto.
Ricordo una brutta mattina di Natale: avvicinatami all’acquario, li trovai tutti a galla. Praticamente li avevo bolliti avendo sbagliato clamorosamente la sera precedente ad impostare il famoso termostato. Fu un colpo: mi sentii un’assassina. Letteralmente. Ma dopo un paio di giorni 23 nuovi pesci erano residenti in casa Luongo: il solito gruppo di neon, più tutti quelli compatibili tra loro.
Ecco, come ho anticipato nel titolo di questo Editoriale, non voglio parlare di cani. O meglio, non dei miei. Per questo ho deciso di mettere in copertina una foto di me bambina con Icare, uno splendido cucciolone nero di un fidanzato francese di mia madre. Oltre ad amare i cani, era un uomo educato, colto e, il che non guasta, molto abbiente. In quell’immagine ero davvero felice: ritrovatami da sola per una settimana con Icare e sua mamma Isabelle su un isolotto di proprietà del padrone dei cani (la coppia umana era dovuta tornare in città), mi godevo la natura e la compagnia di Icare, servita e riverita da uno stuolo di cameriere e cuoche che si rivolgevano a me chiamandomi signorina, nonostante non avessi neppure 9 anni, e mi viziavano meravigliosamente. Purtroppo mia madre presentò al fidanzato una sua amica /collega, bruttina ma dolce e soprattutto non avvezza ai capricci da prima donna come la mia genitrice. Risultato: si sposarono e io restai senza cani da coccolare, né autisti che mi riportassero a casa né cuoche cui ordinare manicaretti. Ma questa è un’altra storia.
Io mi vanto di essere una dura, diciamo così, e mi commuovo difficilmente. Eccezion fatta per la perdita dei cani che ho avuto come compagni di vita. Per questo qui di seguito farò una cosa bizzarra, ma che m’ impedirà di sbrodolarmi in ricordi e racconti e quant’altro mi dilanierebbe a mettere nero su bianco. Che cosa farò? Metterò foto, trascrizioni di brani del mio diario (ebbene sì, confesso, ho un “diario” da più di 25 anni), post di Facebook, ritagli di giornale. Non trovo altro modo per “non parlare di cani”.

26 agosto, Giornata mondiale del cane. Non ho certo bisogno di postare le foto dei cani della mia vita per ricordarli, però lo faccio volentieri: ecco MISTER, OTTO, HOLLY. Con loro sono invecchiata (e sto vieppiù invecchiando) ma soprattutto grazie a loro ho trovato spesso un motivo per alzarmi dal letto e riprendere a vivere.










P. S. Probabilmente non sono la dura che voglio far credere a me stessa. Come dimostra anche il fatto che, non disponendo di un giardino (né di un autogrill a portata di mano), conservo le ceneri di Mr e Otto in due anonimi vasetti bianchi posti fra i libri. Insomma, loro sono ancora e sempre con me. Né potrebbe essere diversamente.
Quanti animali siamo al momento in casa? Quattro: oltre ai due defunti, la sottoscritta e la meravigliosa Holly. No, non ho parlato di cani, è chiaro..