Una sera di tantissimi anni fa, quando ancora ci si frequentava tra (alcuni) parenti. Finita la cena, rimaste a tavola a piluccare qualcosa e a chiacchierare, io e due mie cugine, sorelle fra loro, giocammo a dire il nome di più persone conosciute associando ad ognuna il loro colore. Venuto il nostro turno, mentre sulla più giovane dopo qualche dubbio concordammo per il rosso, per l’altra e per me non ci furono esitazioni: lei gialla, io turchese.
Che cosa voleva dire “essere di un colore”? Per Mariagrazia era semplice: avrebbe scelto questa tinta per ogni cosa, dai vestiti, agli accessori, anche all’arredamento quando possibile. Il turchese con cui io venni definita, e sul quale ero d’accordissimo, suonava invece diverso: era la mia tinta “interiore”, quella che per me significa mare, cielo, serenità… Certo, mi sono vestita (anche) di turchese, associando con cura maniacale sciarpe, orecchini, calze… ed evidentemente questo è, più di tutti, il mio colore, così da volere ostinatamente che la copertina della tesi di laurea fosse turchese (a quei tempi una pretesa assurda, considerato che la scelta si riduceva in pratica al rosso scuro e al verde). Allo stesso modo convinsi mio nonno a ridipingere i due armadi color porpora che mi erano stati riciclati in dono per la mia stanza; e ricordo nitidamente il giorno in cui nonno Antonio, mescolando con pazienza due bidoni di blu e di bianco, riuscì finalmente a ottenere la tinta perfetta che desideravo.

Anche la mansarda al mare l’ho voluta con i pavimenti che ricordano le onde del mare, le piastrelle del bagno azzurro intenso e così via. Forse in una vita precedente sono stata un pesce e amo aprire gli occhi in una sorta di blu dipinto di blu…Chissà.

Per l’abbigliamento è tutta un’altra storia: io, se seguissi l’istinto, mi vestirei solo dei due colori / non colori: il bianco e il nero. E per qualche tempo l’ho anche fatto: rigorosamente una sola di queste tinte (indipendentemente dalla stagione), e in quel periodo minimalista rinunciai anche a qualsiasi orpello o fronzolo inutile, a cominciare dai miei amati orecchini (che ho collezionato in giro per il mondo), concedendomi alle orecchie solo due anellini d’argento con i quali anche dormivo (e dormo tuttora).


Qui urge una premessa: al contrario della stragrande maggioranza delle donne (e di molti uomini) detesto fare shopping e tanto meno girare per vetrine. Quando non ho più pantaloni o golf, ne compro alcune paia tutte uguali, magari di tinte diverse; per il resto accetto volentieri i regali di amiche che conoscono la mia taglia e i miei gusti in fatto di abbigliamento.
Sì, lo confesso: amerei avere una sorta di divisa. Pantaloni e giacca possibilmente con collo alla coreana, sempre e solo color bianco o nero. Ho letto che esiste un motivo per cui alcune persone cosiddette di successo vestono sempre alla stessa maniera. Pare, infatti, che non dover pensare a che cosa indossare riduce di molto lo stress e aiuta a focalizzarsi solo sulle cose importanti. Semplificare è la parola chiave. Giusto per fare qualche nome: Mark Zucherberg ha detto di sentire l’esigenza di concentrare le proprie energie sulle community di Facebook. E chi non ricorda il dolcevita nero, i jeans e le scarpe da ginnastica di Steve Jobs? E i famosi maglioni blu di Sergio Marchionne? Per non parlare delle giacche della ex cancelliera tedesca Angela Merkel, tutte uguali anche se di colori differenti.

E poi c’è Albert Einstein.

A questo proposito pare non sia vero che possedesse innumerevoli copie dei medesimi abiti. La seconda moglie Elsa teneva moltissimo al suo look (oggi si direbbe outfit) ma, una volta rimasto vedovo, il grande fisico si dimostrò fedele a felpe grigie, abiti di cotone e a sandali (noto il suo odio per i calzini). Fregandosene delle tendenze della moda e, sicuro di sé, senza volerlo creando così un suo stile.

Lo so, non sono una persona di successo e non devo preoccuparmi né di Facebook né di Apple né… degli Usa come Barack Obama che rivelò di vestire solo di grigio o di blu, e di non darsi pensiero dell’abbigliamento e di altre piccole decisioni, come che cosa mangiare a colazione. Tuttavia- e, assicuro, non si tratta di pigrizia- anch’io amo vestirmi secondo un mio “stile”. L’importante è sentirmi a mio agio e “riconoscermi” in ciò che indosso.
Ad ogni modo c’è anche una spiegazione scientifica: per Daniel Levitin, professore di neuroscienze presso la McGill University di Montreal (Canada) ogni volta che il cervello deve prendere una decisione, indipendentemente dal tipo di scelta, consuma energia. Nel consumare glucosio, i neuroni non distinguono tra una decisione di poco conto o una che potrebbe risolvere conflitti internazionali.
Ma il colore vuol dire anche emozioni, certo, mi si obietterà. Come contraddire questa indubbia verità? Il colore assume un significato molto importante anche in ambito letterario. Se in campo artistico esso è essenzialmente presente perché fa parte dell’opera, in letteratura diventa la chiave di lettura capace di trasmettere tutti gli stati d’animo, le emozioni, i ricordi e i desideri. Impossibile non ricordare qui la poesia di Alda Merini dedicata proprio ai colori.
Colori
S’io riposo, nel lento divenire
degli occhi, mi soffermo
all’eccesso beato dei colori;
qui non temo più fughe o fantasie
ma la penetrazione mi abolisce.
Amo i colori, tempi di un anelito
inquieto, irrisolvibile, vitale,
spiegazione umilissima e sovrana
dei cosmici perché del mio respiro.
La luce mi sospinge ma il colore
m’attenua, predicando l’impotenza
del corpo, bello, ma ancor troppo terrestre.
Ed è per il colore cui mi dono
s’io mi ricordo a tratti del mio aspetto
e quindi del mio limite.
I colori hanno anche identificato alcuni generi di romanzi: giallo, nero e rosa. Il romanzo giallo è un genere letterario nato verso la metà del XIX secolo, e l’oggetto principale di questo tipo di racconti è il crimine. L’attribuzione dell’accezione “giallo” è dovuta al colore della copertina dei libri con cui la casa editrice che distribuì la collana identificava questa categoria di racconti. I romanzi neri sono un sottogenere dei gialli, ma più cruenti e di norma non orientati a risolvere il mistero. Infine i romanzi rosa, appartenenti alla categoria di letteratura di consumo, hanno come argomenti principali il sentimentalismo e l’amore.
Per quanto mi riguarda, io non faccio quasi mai caso ai vestiti delle persone (sono molto più concentrata, invece, sulla voce e i contenuti dei loro pensieri) , mentre – di bianco o nero vestita e possibilmente il più turchese possibile dentro- non mi perdo una sfumatura di tutto ciò che mi circonda, a partire dalla natura e dai suoi colori inimitabili, ai colori che in una città o altrove mi saltano agli occhi, fino ai riflessi, talvolta impercettibili, che la luce assume durante una giornata, o al tramonto, o al momento magico in cui sta per spuntare l’alba. Per me questi sono i soli colori da non farsi mai sfuggire.



Ultima considerazione: anch’io avevo scritto (più o meno a 19 anni) una poesia intitolata come quella della nota poetessa milanese. Immodestamente ma orgogliosamente la trascrivo qui di seguito perché- ancora oggi- conferma il voler essere e sentirmi turchese.
Colori
Ignorerò
la tinta del mio cuore
fino a quando
il cielo
non sarà sempre azzurro
e quella nuvola
non avrà mostrato il suo ultimo colore

Minnie Luongo