Nel 2022 siamo ancora schiavi di molti schemi mentali anacronistici sul concetto del ruolo femminile. A farlo notare con esempi concreti ed evidenti è un uomo, capace con leggerezza di riflettere e far riflettere
Di Marco Vittorio Ranzoni – giornalista

Sul Corriere leggo che la Fondazione Italiana Sommelier, alle donne che desiderano intraprendere quella carriera, impone l’obbligo della gonna. La regola è nello statuto da anni e tra le centinaia di aspiranti sommelier che seguono i corsi, finora nessuna si era lamentata. Solo oggi una fotografa americana trasferitasi in Italia ha sollevato il caso. Lo so, negli USA Trump, appena eletto, aveva imposto che alla Casa Bianca le donne vestissero solo con gonna e tacchi, ma non è facendo paragoni che miglioreremo. Mentre leggo l’articolo vedo subito a fianco che è stata eletta la nuova Miss Italia.
Nel dubbio guardo la data: siamo nel 2022.
Mi sposto su Facebook: un quotidiano pubblica la notizia dell’omicidio di una donna. Annunciato, prevedibile, previsto e infatti consumato. Per sfizio vado a leggere i commenti: meno male, tutti sobri e corretti, sono di cordoglio, di pena e di rabbia. Ce ne sono una quarantina e – per sfizio nello sfizio – do una scorsa ai nomi: non ce n’è uno scritto da un uomo. Nessuno che si sia sentito in dovere di commentare. Forse meglio così, le cronache ci raccontano di padri di baby-stupratori che assolvono i loro rampolli che fanno “ragazzate”. Meglio il silenzio.
Alla TV va un reportage sulla condizione delle donne afghane e spunta una lacrima sul ciglio, scatta un fremito a vedere quei veli sulla sofferenza; sugli altri canali veline e grandi fratelli: c’è poca via di mezzo, nei palinsesti.
Le iscrizioni alle facoltà STEM delle Università italiane segnano il passo: le ragazze si laureano molto più dei maschi e con voti più alti, ma solo una su sei sceglie una facoltà tecnico-scientifica. Al netto di qualche astronauta e direttrice del CERN, le posizioni apicali sono nettamente retaggio maschile e gli stipendi delle donne – a parità di responsabilità – vergognosamente più bassi.
Se inquadrano una donna a capo di un’organizzazione, di un partito, di un’azienda o di un Paese, guardiamo prima com’è vestita e se è bella o brutta, di rado la stiamo davvero a sentire. L’omosessualità e i temi gender ci imbarazzano, pratichiamo senza dirlo body-shaming a oltranza, anche se poi facciamo i fighi mettendo schwa e asterischi su tutt* e ridiamo alle barzellette dove c’è la parola “culo”.
In realtà abbiamo davvero un grosso problema nei rapporti uomo/donna, in molte cose siamo rimasti ai tempi dei bisnonni che portavano i figli sedicenni nei bordelli per farli diventare (appunto) uomini.

Ogni anno visito il Salone internazionale delle moto, l’EICMA. Per fortuna posso evitare la ressa, ci vado da giornalista nei giorni dedicati. Ma anche lì, per guardare da vicino un ammortizzatore bisogna farsi largo tra le gambe e i tacchi a spillo delle stendiste. Ho provato a sollevare il problema nelle sedi opportune (riviste di settore e blog di appassionati motociclisti), ma sono stato fatto oggetto di scherno e di gravi illazioni sulla mia virilità.

Fin qui noi maschietti. Ma è sbagliato pensare che la misoginia sia un’esclusiva dell’uomo. Spesso ho notato che sono proprio le donne a mettere la sabbia negli ingranaggi.
Jung diceva che esiste una specie di “ombra” nella psiche femminile che sopravvive nell’inconscio e si trasmette da madre a figlia e da femmina a femmina, come un DNA.
Così nasce una rivalità tra donne, che si coalizzano contro quella che sembra diversa. In pratica – secondo Jung – ad essere odiate dalle donne sono tutte quelle che vogliono rinnegare o rifiutare i ruoli assegnati loro, dagli uomini, nel corso dei secoli. Come se queste donne non volessero che l’altra si potesse liberare da una logica maschilista perché non hanno potuto o voluto farlo loro.
Gli attacchi a Chiara Ferragni, ad esempio, nascono dal fastidio di vedere una donna non sottomessa e anzi più famosa del marito, ma discorso analogo si può fare per Greta Thumberg o Carola Rackete.
Alla fine, siamo tutti ancora schiavi di modelli e schemi mentali radicati e inculcatici fin da piccoli, dai quali è molto faticoso liberarsi.
E allora ben vengano tutte quelle iniezioni di diversità, quelle rotture degli schemi consolidati che magari ci sconcertano un po’, ma provano ad andare nella direzione di scardinare quei modelli e servono a ricordare che di strada da fare ce n’è tanta. Ben venga anche Sanremo, le drag queen e il gay pride: per fare le schiacciate a pallavolo bisogna alzare molto la palla, se no resta nella rete.

