Felicità, tra chimera e realtà

Avere o essere? L’importanza di guardarsi dentro

Di Rosa Mininno – psicoterapeuta, fondatrice di Sibilla (Scuola italiana di biblioterapia, del libro, della lettura e delle arti)

La felicità è un lampo di luce, un soffio di vento in una giornata torrida, acqua fresca e pulita quando si ha una gran sete.

“Più felici! Bisogna essere più felici!” cantava con fare impositivo il venditore di felicità nell’opera pop “Orfeo 9” di Tito Schipa jr agli inizi degli anni ’70.

Difficile dare una definizione di felicità. È istantanea, fuggevole e la sua dimensione temporale è fatta di attimi di vita. Eppure la sua percezione è immediata, fulminea.

Difficile disquisire di felicità in un tempo storico come il nostro oscurato dalla guerra in territori vicini ai nostri confini. Difficile quando davanti agli occhi si hanno immagini di distruzione, di violenza della Natura e della stupida violenza umana. Difficile parlarne quando davanti agli occhi, che oggi possono vedere tutto anche dove non sono, si stagliano barconi sfasciati carichi di disperazione, di dolore e speranza arenati sulle spiagge dei nostri mari del Sud. Eppure tra tanto dolore si può piangere di felicità per aver tratto in salvo un bambino piccolissimo dopo più di 100  ore che la forza della vita ha conservato nell’oscurità, nella solitudine, sotto le macerie della sua casa, senza mangiare, senza bere, al freddo , nella paura. Un bambino che tra le braccia del soccorritore che piange di felicità perché l’ha trovato, cercato disperatamente, guarda lui e noi, al caldo nelle nostre case, con quei suoi occhi infiniti di bambino. Ecco, la commozione è una misura della felicità. 

Difficile parlare di felicità se si hanno bollette, tasse e mutui o affitti da pagare, se lo stipendio non arriva alla fine del mese, sempre se si ha la fortuna di avere un lavoro per vivere dignitosamente.

Difficile parlare di felicità se si sta male. Eppure si può provare un attimo di felicità.

La primavera per me è sempre stata portatrice di felicità, una rinascita.  

La felicità ridotta ad una invenzione pubblicitaria, ” Più felici! Bisogna essere più felici! ” Bisogni indotti da strategie pubblicitarie ciniche, seduttive e martellanti. E più ci inseguono certe chimere e più la felicità si allontana da noi senza mai avere la possibilità di essere raggiunta e vissuta.

E allora bisogna fermarsi, guardarsi dentro e scoprire che la felicità, ” Il sommo bene ” del quale parla Seneca nel suo” De vita beata” in realtà è dentro di noi, non in vissuti effimeri, ma in vissuti autentici, istantanei che non esaltano, ma che consolano di tante storture e aggressioni della vita a volte matrigna cattiva, a volte madre affettuosa e generosa.

Allora la felicità è guardarsi con gli occhi dilatati e profondi della ricerca introspettiva quando scopriamo con sorpresa qualcosa di inedito di noi. E’ serendipità: cerchi qualcosa e trovi un’altra cosa alla quale tenevi e che credevi di aver perduto. 

Forse la felicità sta proprio nella distanza da se stessa, in quello spazio ontologico che come un guscio, uno scudo ci sottrae dalla frenesia dei tempi e puoi essere felice di quegli attimi, al contempo eterni e fugaci, in cui ti rendi conto che sei vivo e felice di esserlo perché potresti non esserlo. Quell’attimo di eternità che non tornerà a viverti perché questa vita è troppo bella per odiarla del tutto nei momenti bui e troppo amara per amarla del tutto in quelli belli. 

 ” Il sommo bene” allora sembra proprio essere quella dimensione umana che gode di se stessa per il solo fatto di ” essere”, lontana dalle chimere della frenesia quotidiana della vita che si affanna a imbellettarsi come una cortigiana pronta a vendersi al miglior offerente.

” Essere ” non ” avere ” come nel pensiero di Erich Fromm. ” Essere” come il pane caldo e profumato appena sfornato che mangi a morsi perché hai fame. Fame d’amore. Fame di felicità.

 ” Essere ” e non ” mostrarsi” come vuole invece il nostro tempo.

” Essere” e non ” avere” perché “essere” è la dimensione umana che dilata nello spazio e nel tempo noi stessi perseguendo quel vissuto di universalizzazione enunciato da Samuel Slavson.

“Essere” perché è questa la dimensione dell’inconscio collettivo enunciato da Jung che ci unisce senza dimensioni temporali agli altri, da sempre, da quando siamo comparsi sulla Terra, terra sirena, terra del giorno e della notte. La felicità appartiene al giorno e alla notte.                                                                                                                                    

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