
di Minnie Luongo – direttore Generazione Over 60
Editoriale
Generazione F Aria di primavera
La frase, riferita indistintamente ad una persona, al governo, ad un rapporto sentimentale, è sempre quella: riuscirà ad arrivare al prossimo panettone? Ora, dato che parliamo di un dolce che ormai si trova sugli scaffali dei supermercati tutto l’anno, la domanda è da ritenersi superata.
Piuttosto, visto che non c’è né ci potranno mai essere nello stesso anno due o più inverni, primavere, estati o autunni, è bene rifarsi ad un modo di dire poetico usato da chi non è proprio giovincello per indicare la propria età: avere un tot di primavere.
E, saranno le quasi 68 primavere che incombono, mi ritrovo a chiedermi sempre più spesso: quante primavere mi sarà ancora concesso vedere?
La cosa buffa è che fin da bambina ho dichiarato e scritto anche nei temi (con grande stupore della maestra Marini) di non amare la stagione che inizia con l’equinozio attorno al 21 marzo. Mi ha sempre dato fastidio quella sdolcinatezza legata a colori pastello e a toni tenui, solo sussurrati e mai urlati. Ebbene sì, appartengo alla schiera poco furba di chi non ama le mezze misure: so che esiste il grigio ma nella vita quotidiana no. Solo sì o no, mai “ni”. Di conseguenza (chiedo scusa all’amato Giacomo Leopardi) ho preferito vivere la domenica, non aspettarla il giorno prima. E soprattutto ho detestato la storia che “sbocciano in coro i fiorellini, come ricami nei verdi giardini”, che il cuore si apre alla vista del primo mandorlo in fiore, che le giornate si allungano …
Ma vogliamo mettere la luce abbagliante di luglio e agosto? E la sabbia che brucia all’ora di pranzo in spiaggia quando, se non si è muniti di sandali o infradito, ci si ustiona le pianta dei piedi e si prende la rincorsa per saltare dall’ombra di un ombrellone a quella di un altro?
D’accordo che, sempre per ricorrere a frasi fatte che tuttavia ora si stanno trasformando in tragica realtà per il nostro ambiente, le stagioni non sono più quelle di un volta, ma fino allo scorso anno ho davvero odiato la primavera. Insomma, non sono donna da cuoricini e campane a festa.
Nel 2019 è successo ciò che non avrei mai pensato. Mi soffermo a guardare se nuove margherite sono sbocciate nell’aiola spelacchiata dove ogni mattina porto la mia cagnolina ad espletare i primi bisogni fisiologici della giornata; guardo sul calendario quanti giorni mancano all’inizio ufficiale della stagione primaverile (per la cronaca, quest’anno è il 20 marzo alle 21:58); indosso persino camicie rosa. L’aborrito color rosa.
Come spiegare tutto ciò? Forse proprio perché (incredibilmente: nessun mio coetaneo riesce a credere di avere l’età che ha finché, prima di chiamare una persona che non sente da tempo, s’informa se sia ancora fra noi, e sfido qualunque Over a non essersi trovato di fronte ad una simile circostanza) questa è la sessantottesima primavera della mia esistenza e non so quante altre la vita me ne regalerà. E allora chi se ne frega se a Pasqua si mangia la colomba che non mi piace, se i bambini fanno casino col tum tum del pallone nell’ora in cui potrei dedicarmi ad una pennica, se se…
Pertanto è, banalmente, paura del poco tempo, delle poche primavere per l’appunto che mi restano?
Forse no … posso continuare a non sdilinquirmi per questa stagione. Per il semplice motivo che la primavera può scoppiarci dentro in ogni momento: basta un gesto d’affetto autentico, un sorriso, una telefonata, l’amore per ciò che si fa. La primavera dell’anima è quella che in fondo ho sempre amato, e contro cui tumori e altre malattie di un fisico che si deteriora per l’usura al pari di una macchina, e cattiverie e rancori e bassezze e silenzi altrui non possono nulla. Perché noi Over sappiamo sbocciare dentro. L’abbiamo imparato senza bisogno di manuali, a vivere appieno il momento, specie quando esso si rivela felice da far quasi male.
P. S. Mi dimenticavo: buona primavera a tutti!