Come viene usato il colore per raccontare storie nei film? In un’intervista le risposte a molte domande a riguardo
di Mauro Bossi* e Flavia Caroppo (giornalista, nostra corrispondente a New York)
La nostra psicologia è intrinsecamente influenzata dal colore che ci circonda, ma che cosa significa per noi il colore? Come possono toni e sfumature, o anche bianchi e neri, trasmettere idee, emozioni, sensazioni? E come viene usato il colore per raccontare storie nei film? In esclusiva per GenerAzione Over 60, lo scrittore e attore Mauro Bossi, istriano di nascita e Newyorkese d’adozione, l’ha chiesto a Teo Marinakis, pluripremiato regista e direttore della fotografia, a ridosso dell’uscita del suo nuovo film “Vivo”.

Teo, dato che a New York vivi e lavori, guardi la città con occhi diversi, e soprattutto tramite l’obiettivo della cinepresa. Quali sono i colori della Grande Mela che ti ispirano dal punto di vista creativo?
La città è vista da molti come una giungla di cemento ma, per chi la conosce come me, il colore è ovunque. Prendete Times Square per esempio, e le sue luci artificiali che cambiano in continuazione. In pochi isolati raggiungete Central Park e vi ritrovate immersi nella natura, in un contrasto estremo tra il verde dei prati e le luci al neon che vi siete lasciati alle spalle. E poi basta girovagare per la città per ritrovarsi all’improvviso davanti a vere e proprie esplosioni di colore. Come i giganteschi murales dell’incredibile artista di strada Kobra. Insomma, quando si tratta di New York, si può davvero trovare un assaggio di tutto. Ci vuole solo un po’ spirito d’esplorazione.

Il tuo ultimo film, Vivo, sta spopolando in tutti i Festival. Che ruolo gioca il colore in questa tua pellicola?
Vivo è davvero un film “di” New York, la città e i suoi colori sono fondamentali per raccontare la storia. Vivere qui non è facile, questa città può davvero risucchiarti sino all’ultima goccia d’energia, e tutto può sembrare molto grigio. Così accade al protagonista, Dom, che nel corso della film deve affrontare una serie di sfide che lo metteranno alla prova. Fino a quando trova l’ispirazione, e finalmente anche il colore rientra nella sua vita. Abbiamo pianificato l’uso del colore molto meticolosamente per mostrare le emozioni del giovane immigrato con il sogno della musica. Una delle cose più importanti, per me, era mostrare il mondo attraverso gli occhi di Dom e far diventare tutto più luminoso a mano a mano che lui stesso diventa più ottimista sul futuro.

Come hai scelto i set delle riprese e che impatto hanno sulla combinazione di colori?
Abbiamo girato in tutta New York: da Harlem a Fire Island, fino a Forest Park nel Queens. Qui abbiamo ripreso la “sequenza forestale”. Volevo una location che assomigliasse davvero ad una foresta, ma senza dover lasciare la città. Abbiamo esplorato diversi parchi cittadini e abbiamo scoperto che a Forest Park ci si può perdere e immergere come si farebbe in una vera e propria foresta. In altre scene volevo catturare il paesaggio urbano e ho scoperto che il quartiere di East Harlem racchiude perfettamente quello che avevo in mente.
La scena della foresta supera lo stereotipo di un film “di” New York; ce la racconti?
La scena della foresta è simbolica, non volevo fosse un posto nel quale fosse riconoscibile la città, né che avesse altri riferimenti geografici. Volevo rappresentare il “posto felice” di un personaggio, quel luogo a metà tra l’onirico e il reale, dove Dom viene trasportato ogni volta che le cose intorno a lui non vanno bene. Un luogo pieno di natura e di un senso di pace. Un luogo verde.
Che cosa ha portato il colore verde alla tua scena?
Ha dato al personaggio principale un senso di sicurezza e conforto che ricorda l’infanzia, poiché è nel suo posto felice. Generalmente, nei film, i colori possono essere usati per rappresentare temi diversi. Qui ho usato il verde per rappresentare l’infanzia, un’età nella quale è richiesto un grado inferiore di maturità, nella quale è consentito sbagliare (per imparare) e le difficoltà non sono poi così insormontabili. Anche se sono cresciuto in città, per me il verde in qualche modo è il colore dell’infanzia, vista la sua associazione con la natura. Per gli abiti ho scelto il celeste, il giallo, il viola e l’arancione, creando così una tavolozza complementare che, per contrasto, fa emergere i personaggi in una scena “monocromatica”.

Per trasformare la realtà che ti circondava e adattarla al tuo copione hai lavorato con l’illuminazione? Con il design del set? Hai incontrato qualche sfida?
Qualche? Tante! (Ride). A differenza delle grandi produzioni, per Vivo abbiamo lavorato molto con la luce naturale. Voi pensate che le scene che vedete nei film di Hollywood siano state girate così come sono nella vita reale? Ovviamente no! La maggior parte delle scene sono meticolosamente illuminate, persino il buio e le ombre sono ottenute sapientemente dagli addetti alle luci. Nel cinema Verite, in quello che di Dogme 95, e nelle produzioni con un budget limitato accade esattamente l’opposto. Ed è questo il percorso che abbiamo preso per VIVO. Ho scelto di illuminare artificialmente solo certe scene che richiedevano colori o contrasti specifici, lasciando che la luce naturale guidasse il mio lavoro, quello della troupe e degli attori. Il che significa anche che abbiamo dovuto girare ad orari impossibili, a volte. Ammetto però di aver anche usato saltuariamente le luci per aiutare la luce naturale.
Di che colore hai avuto bisogno per illuminare artificialmente?
Uno dei colori principali che abbiamo usato all’interno dell’appartamento è il viola, che ha una bella caratteristica illusoria. Può essere molto etereo, e volevo usarlo per l’appartamento del protagonista, in modo da poterlo associare al suo stato mentale. La soluzione che ho trovato è stata quella di utilizzare le lucine RGB che cambiano colore, le stesse che si possono trovare in qualsiasi stanza di un adolescente di oggi, o nei bar di Korea Town qui a New York.

Quella di cambiare il colore dell’ambiente circostante (in questo caso a New York) in base agli stati d’animo del personaggio e a ciò che sta accadendo nella storia è una delle caratteristiche che, secondo la critica, ti contraddistinguono. Questo raccontare per mezzo dei colori lo fai sin dal tuo primo cortometraggio, Cabourg, che ha vinto il premio per la scelta del pubblico all’Hip Hop film festival. Che cosa volevi comunicare in quel film?
In quel film, che parla di un gruppo di rapper che vanno in una villa francese per celebrare la fine del loro tour europeo, ho abbinato specifici colori e luci alle diverse parti della storia. Il film inizia presto, durante la giornata, con tutta la band e l’entourage che si divertono e festeggiano. Poi la luce naturale del giorno si trasforma nei bellissimi colori dell’ora d’oro, al tramonto. Queste sono le scene con gli arancioni vivi e i rosa mozzafiato, poco prima che tutto diventi scuro e scenda la notte. Proprio quando la storia si trasforma in un thriller e i personaggi iniziano a scomparire. A questo punto abbiamo un set molto più scuro, e i colori che prima erano molto luminosi e caldi ora diventano freddi, fiochi e opachi. La scena è la stessa e così pure il design del set, ma sono la luce e i colori che fanno vedere tutto in prospettiva diversa. Poi ho usato altri “trucchi”, come una tenda giallo senape e una carta da parati gialla che indica la progressiva instabilità mentale di uno dei personaggi.

Prendiamo un colore specifico: il blu del cielo d’estate a New York. Puoi dirmi come lo si usa nel cinema o quello che rappresenta per te personalmente.
Interessante scelta di colore… In genere noi associamo il blu con i cieli tersi e le giornate di sole. Ma quando il blu è usato nella pellicola è per rappresentare gli ambienti freddi. Quando giriamo in un luogo molto freddo, il grado di colore è portato verso una tavolozza analoga blu. Al contrario di una tavolozza più rossa, che è associata ad un ambiente più caldo. Ma il cielo blu può anche essere il colore complementare perfetto alla maggior parte dei toni della pelle, creando il classico look “arancione e verde acqua”.
Perché dici che la temperatura è associata a colori specifici nel cinema?
La temperatura del colore nella pellicola è un aspetto molto importante della cinematografia, e viene misurata in gradi Kelvin. Girare all’esterno (luce del giorno) o all’interno (con le luci al tungsteno) dà risultati diversi con luci diverse. Per esempio, se giriamo una scena all’interno con una telecamera diurna e luci gialle, sembrerà arancione. L’ideale è quello di girare una scena con una tavolozza di colori il più possibile neutra ed equilibrata. La ripresa di una scena avviene in un cosiddetto “spazio colore registro”, in cui cerchiamo di memorizzare la maggior quantità di informazioni sul colore in un file video. L’immagine così girata appare molto grigia ma poi, in post-produzione, l’esperto del colore inserirà i dettagli relativi alle diverse tonalità, modificando così l’immagine fino ad arrivare al risultato finale voluto dal regista.

È in questo momento che entra in gioco l’arte del regista. Tu hai una capacità speciale, quella di mettere insieme i colori giusti per creare sia la realtà esteriore che il mondo interiore dei tuoi personaggi. I tuoi colori, dice la critica, sono la proiezione all’esterno delle loro emozioni. Parliamo quindi del rosso. Cosa significa per te come regista?
La maggior parte delle persone ha una nozione preconcetta del colore rosso. Si pensa subito all’amore e alla passione, a film come American Beauty. Ma il rosso può anche simbolizzare il pericolo, la violenza, la rabbia. Pensate alla scena del club in Irreversible di Gasper Noe, dove tutto è rosso e c’è un estremo atto di violenza.
Può cambiare anche il colore di un personaggio?
Sicuramente. Ecco a cosa ci riferiamo come colori di transizione. Non deve necessariamente essere il personaggio stesso che cambia colore, anche se potrebbe essere. Può anche essere uno spostamento costante in qualsiasi aspetto del colore come il contrasto o la saturazione che cambiano in tutta la pellicola.
Quali sono altri aspetti della relazione tra colore e personaggi di un film?
A volte associamo un colore specifico a un personaggio specifico: lo si può fare attraverso i loro vestiti, o l’ambiente in cui vivono, o persino attraverso il loro colore dei capelli, che può essere utilizzato per significare cose diverse.
Qual è una regola che non dovresti mai infrangere sul colore nel cinema?
Ci sono molte regole generali nel cinema che sono importanti da conoscere anche per infrangerle in modo creativo e mirato. Quello che non si dovrebbe mai fare per quanto riguarda il colore è accontentarsi di ciò che si ha. Sperimenta sempre diverse tavolozze, toni, combinazioni di colori fino a trovare ciò che si adatta alla storia che stai cercando di raccontare.
Il regista

Teo Marinakis è cresciuto a Santiago del Cile da madre brasiliana e padre argentino. Ha studiato cinema e televisione alla NYU’ Tisch school of the Arts di New York, dove vive e ha fondato la società di produzione indipendente OOOF & The Walrus. Il suo film Cabourg ha vinto il premio Audience Choice Award all’Hip Hop Film Festival di Harlem. Scoprite di più sul suo sito web, o sulla sua pagina instagram
Il film

Quest’anno Teo sta preparando l’uscita del suo nuovo film, VIVO, che racconta l’esperienza di un giovane immigrato che sogna di sfondare nel mondo della musica. Bloccato in un circolo vizioso di delusioni e lavori senza sbocco, il protagonista lotta per non perdere l’ispirazione e non mollare, cercando la forza per rimanere a New York e continuare a sognare.
L’autore

Mauro Bossi è un attore e scrittore newyorkese che lavora per il cinema, il teatro e la televisione. La sua più recente performance, L’ultimo uomo al mondo, è stata messa in scena a fine ottobre in una performative space a Hell’s Kitchen, New York. Potete scoprirne di più sulla sua pagina Instagram @maurotomorrow