Aspettando l’anno nuovo

Auguriamoci un piano risolutivo per tutti, ma senza smettere di sorridere 

Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico

Leggo su un muro “merry crisis and happy new fear”. Cinico ed efficace. Ma solo chi condivide crisi e paure può concepire una lama così affilata. Anzi, ancor di più – solo chi avverte la necessità di specchiarsi, di incontrarsi, riesce a incidersi sulla carne con un sorriso e trattare quella ferita come una feritoia dentro cui guardare – o da cui osservare e poi concepire quella frase. Forse, più che un sorriso è proprio una risata.

Ride chi sta seduto in alto nei cieli (Salmo 2.4), perché –come Platone fa dire a Socrate nel Cratilo- “anche gli dei si dilettano nello scherzo”. Preferisco ridere – e magari anche suscitare ilarità perché mentre cerco di veder lontano va a finire che cada in una buca profonda e la servetta trace di turno mi dileggi, come (ancora) Platone narra nel Teeteto accadde a Talete che scrutava gli astri nel cielo, ma cadde in un pozzo proprio sotto i suoi piedi. Ostinato, son persuaso che serva una teoria – e serva una speranza da osservare lucidamente.

Serve un’utopia suffragata dai fatti, e non la paura che paralizza e allontana le soluzioni possibili. L’utopia suffragata dai fatti abita nella volontà di cercarsi, di guardarsi allo specchio e cercare l’incontro con il sé, anche quando l’immagine è sfuocata e l’aspetto esteriore cui siamo abituati stenta a coincidere con chi si è, o si immagina di essere mentre ci si scruta interrogandosi. Borges era ossessionato dalla paura di esser di fronte a uno specchio che non gli riflettesse la sua immagine.

Suggerita da Ernst Bloch – uno che di speranza se ne intende-  una frase di Chesterton: “Ciò che noi tutti temiamo di più –disse a bassa voce Padre Brown- è una nebbia senza centro”.

Nebbia, ferita, sangue? L’occhio che guarda non vede se stesso – non vede l’uomo cui appartiene mentre questo agisce. Dietro gli occhi risiede il punto di vista di ciascuno di noi. Lì si alza il sipario e da là s’appoggia lo sguardo – per osservare da dentro a fuori il proprio mondo e il proprio tempo, abitandolo al meglio e accettando di lasciarsene sorprendere, anche quando gli eventi sono tali e tanti da farti vacillare come un ubriaco.

Mi accorgo di aver lasciato troppe righe sopra la risata. Ci ritorno con Walter Benjamin: “Osserveremo, per inciso, che per il pensiero non c’è avvio migliore del riso. E, in particolare, le vibrazioni del diaframma sogliono offrire al pensiero occasioni migliori di quelle dell’anima”. Ragion per cui mi permetto di proporre come film di fine anno, riassuntivo della necessità di cominciare ridendo e guardando, Cat Ballou – parodia western con una colonna sonora strepitosa (Nat King Cole) e interpretato da Jane Fonda e un gigantesco Lee Marvin che fu premiato con l’Oscar. Nella pellicola Marvin recita due ruoli, il cattivo Tim Strawn e il presunto pistolero Kid Shelleen – che in realtà è un vagabondo ubriacone. Ciò nonostante lui e la sua banda riusciranno a salvare rocambolescamente la bella Cat Fonda. Nella scena poco prima che il piano risolutivo della vicenda si compia Shelleen è nuovamente del tutto ubriaco. Jackson Due Orsi, uno dei suoi, se ne accorge atterrito. Ne segue un dialogo che dà la cifra del tenore di tutto il film:

Jackson Due Orsi: “Kid, Kid, che momento ubriacarsi daccapo… Guardati gli occhi.”

Kid Shelleen: “Cosa c’è che non va nei miei occhi?”

Jackson Due Orsi: “Beh, sono rossi, iniettati di sangue.”

Kid Shelleen: “Dovresti vederli dalla mia parte.”

Auguro a ciascuno di guardare in faccia nello stesso modo l’anno che arriverà – con in mente un piano, il proprio, ma che sia però risolutivo per tutti.

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