Con nonno Tino alla scoperta della Fiera Campionaria, del Velodromo Vigorelli e, soprattutto, degli artisti di Holiday on Ice
Di Marco Vittorio Ranzoni – giornalista

Io di nonni ne ho avuti in dotazione come tutti, ovviamente, due. Di nonno Cesare ho già detto: quello da parte di madre si chiamava Ernesto, detto Tino. Lui e la nonna Carla abitavano in via Vetere e fu così che mio papà conobbe mia mamma, che allora era impiegata alla Edison: erano vicini di casa.
Il nonno Tino era un idraulico e termotecnico, alla maniera di una volta: nessun titolo di studio, ma tanta pratica e passione. Con il fratello e alcuni operai aveva una ditta di installazione e manutenzione ed era il fornitore ufficiale della Fiera di Milano. Il suo ufficio era in mezzo ai padiglioni e per me quello era il Paese delle Meraviglie.
Aveva una Fiat 600 Multipla con il solo sedile anteriore montato perché dietro era piena di attrezzi. A me faceva ridere perché era grigia come un topo e poi non aveva il cofano davanti e sembrava sempre di andare a sbattere col muso. Ma il nonno Tino guidava pianissimo.
Durante i fine settimana stavo con lui e la nonna Carla e dato che in Fiera c’era sempre qualche emergenza o qualche manifestazione, lui spesso mi portava con sé. Si entrava dalla porta presidiata dalle guardie in divisa che – per un gioco al quale si prestavano sempre volentieri – facevano il saluto militare mettendosi sull’attenti. Poi mi perquisivano per finta e mi trovavano sempre una pistola giocattolo che, ad opportuno controllo, risultava regolarmente denunciata perché ero un agente dell’FBI.
Da lì si entrava in quello che agli occhi di un bambino era un mondo di fiaba. Prima tappa obbligata la scultura della Lupa capitolina che allatta Romolo e Remo: io dovevo infilare la mano tra le fauci della lupa e se non mi mordeva potevamo entrare. Entravamo sempre.

Il nonno Tino lì dentro era una vera autorità e lo salutavano tutti perché era lui che assicurava il riscaldamento dei padiglioni della Fiera e tutte le funzionalità idrauliche. Lo chiamavano spessissimo anche la notte per le emergenze e la nonna Carla si arrabbiava e diceva sempre che dovevano metterci una bomba, in quella maledettissima Fiera. Lui non fiatava nemmeno, si vestiva rapidissimo e in un baleno era fuori di casa.
Il fatto era che suo fratello e suo socio, il furbastro, almeno così diceva la nonna, abitava in una villetta fuori Milano, mentre il nonno Tino aveva preso casa apposta vicino all’ufficio e quindi era lui che doveva trottare ad ogni chiamata. In effetti, il fratello del nonno in fiera io non l’ho mai visto.
Lui era responsabile anche degli impianti del velodromo Vigorelli e lì mi lasciava arrampicare sulla curva parabolica della pista: era quasi in verticale, di legno lucidissimo e mi divertivo a fare lo scivolo. Ci andavamo sempre quando era vuoto, tranne alcune volte che mi portava durante le gare. Così ho delle foto con Antonio Maspes, sette volte Campione del Mondo di ciclismo su pista, che stava fermo immobile sulla bicicletta coi piedi infilati nei pedali per tempi lunghissimi, prima della partenza, mentre io stavo imparando solo allora a stare in equilibrio precario sulla mia Rossignoli blu nel piazzale di Santa Rita.
In inverno arrivavano a Milano gli artisti di Holiday on Ice: era uno show di pattinaggio e il nonno doveva preparare il ghiaccio sulla pista e in quei giorni era sempre impegnatissimo fino a sera tardi. La nonna Carla era intrattabile, in quei giorni, più che durante la Fiera Campionaria che pure allora durava quindici giorni. E uno dei motivi, secondo me, era che il nonno si faceva sempre fotografare nei camerini con le ballerine. A me sembravano tutte altissime e bellissime, coi costumi con le piume e le gambe chilometriche. Forse sembravano alte perché avevano i pattini, ma era un bel vedere. Parlavano tutte inglese e il nonno non capiva niente, ma loro sorridevano sempre. Io andavo con lui durante il giorno, alle prove; uno spettacolo intero la sera credo di non averlo mai visto.
Poi, sempre dall’America, era il turno della pallacanestro degli Harlem Globetrotters: erano tutti neri e altissimi e sembravano dei giocolieri, facevano impazzire gli avversari rubandogli la palla e tiravano a canestro da distanze pazzesche. C’era un giocatore, me lo ricordo perché si chiamava Lemon, che era il più bravo di tutti. Mi feci iscrivere da mio papà a un corso di minibasket, ma non ero molto portato e poi ero un tappo e non ero neanche nero.
Durante la Fiera Campionaria pioveva sempre, a Milano. Il nonno mi portava in giro per il padiglione Meccanica, il suo preferito: lì c’erano macchine enormi e rumorosissime e lui mi spiegava come funzionavano. Forse sarà per quello che anni dopo sarei andato al Feltrinelli a studiare da perito meccanico. Era il 1968 e ho una foto del nonno davanti al LEM, il modulo spaziale che sarebbe stato usato come base per la prima passeggiata degli astronauti sulla luna. Mi fece credere che lo aveva costruito lui e per un pelo non ci feci una figuraccia a scuola. Al nonno Tino piacevano molto gli scherzi.
Quand’ero da questi nonni io non facevo mai i compiti, ero sempre in giro col nonno Tino. Per questo, quando la domenica sera mi riportava a casa a volte bisticciava con nonno Cesare. Una volta gli disse ridendo, in dialetto milanese: “Ma dai, sciur Cesare, è mica meglio un asino sano che un dottore all’ospedale?” e lui si arrabbiò ancora di più. Un po’ per finta, però.
L’altra passione del nonno erano i treni. La nonna non si capacitava del perché, ogni volta che prendevano in affitto una casetta per le vacanze, sia che fosse sul lago Maggiore o nelle campagne del Varesotto, era sempre in vista di una stazione ferroviaria. In quei pomeriggi, dal balcone o da una finestra, il nonno Tino osservava i treni con un binocolo, assorto. E sorrideva.
Ma erano sempre vacanze brevissime, giusto una piccola pausa prima di tornare al suo vero grande Amore, la Fiera di Milano.
