Grazie alla ricerca oggi sappiamo che il cervello continua a svilupparsi durante tutta la nostra vita
Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica

Ho la fortuna di essere drammaticamente distratta, fin dalla più tenera età. Sarà per questo che le défaillance dell’età matura non mi spaventano più che tanto. Ho perso gli occhiali? Mi succede da quando, in seconda liceo classico, ho scoperto che la tavola periodica degli elementi appesa al muro che vedevo come una confusa macchia di colore, per le mie compagne di classe era perfettamente decifrabile. E che quindi avevo bisogno di occhiali. Che di solito, quando li perdo, stanno sulla mia fronte, mentre è probabile che il cellulare che cerco sia lo stesso con cui sto parlando.
Devo ammettere però che negli ultimi tempi i vuoti di memoria aumentano, e se la mia incapacità di memorizzare un volto è nota da decenni adesso comincio ad avere seri problemi con i nomi. Ce ne sono alcuni che il mio cervello rifiuta di memorizzare, e persone che continuo a ribattezzare. Ma anche nomi che sono lì, sulla punta della lingua, quando servono, ma si rifiutano ostinatamente di emergere. Sto invecchiando? Inevitabilmente sì, ma questo non vuol dire che il mio cervello non sia in grado di apprendere. La scoperta della plasticità cerebrale, delle capacità del sistema nervoso di modificare i propri circuiti, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, in funzione dell’esperienza, è piuttosto recente, ma oggi sappiamo che il nostro cervello continua a svilupparsi durante tutta la nostra vita. E se alcune funzioni possono essere rallentate, ci sono altre situazioni in cui un cervello maturo, in grado di utilizzare qualità come esperienza ed empatia, fornisce prestazioni anche superiori rispetto a quelle di un giovane.
Ammetto, ho dovuto scavare nella memoria per ricordare il nome esotico di Elkhonon Goldberg (https://elkhonongoldberg.com/) il neuroscienziato americano di origine lettone autore de ll paradosso della saggezza. Come la mente diventa più forte quando il cervello invecchia. (Ponte alle Grazie 2005) .

Lo intervistai proprio su questo saggio che per la prima volta non parlava del decadimento cognitivo degli anziani, ma delle loro potenzialità, insomma dei vantaggi derivanti dall’esperienza che ci aiuta a sfruttare meglio le informazioni acquisite. Goldberg introduceva il concetto di fitness cognitiva: oggi ne parlano tutti, fioriscono programmi ed esercizi pensati per mantenere allenato il nostro cervello. Gli studi sulla plasticità cerebrale si sono sviluppati, grazie anche alle tecniche di imaging, e sappiamo che il cervello di un musicista – o di uno chef – si sviluppa in modo diverso da quello di chi non è concentrato in queste mansioni (segnalo per chi volesse approfondire l’ottimo Expert brain. Come la passione del lavoro modella il nostro cervello di Antonio Cerasa, Franco Angeli 2017).
Lo stesso vale – e a loro era dedicato il primo esperimento di questo tipo – per il cervello del taxisti, costretti a memorizzare centinaia di percorsi. Anzi, valeva, perché l’avvento dei navigatori ha fatto venire meno la necessità di questo allenamento. E qui si potrebbe aprire un acceso dibattito sui potenziali danni generati dai supporti elettronici con cui conviviamo. Il problema esiste, ed è certo che se usiamo il navigatore anche per trovare la strada di casa il nostro senso dell’orientamento ne risentirà. Ma internet è uno strumento prezioso anche per l’allenamento cognitivo che rappresenta l’arma migliore per mantenere in forma il nostro cervello, dai programmi dedicati, ai giochi – personalmente adoro i quiz e i giochi di parole come Ruzzle – alla possibilità di leggere, studiare ed esercitare lingue, imparare cose nuove. Perché è così che manteniamo giovane il nostro cervello, uscendo dalla routine e qualche volta anche dalla “ confort zone”, buttandoci – uno dei vantaggi dell’età è che possiamo fregarcene delle brutte figure – e sperimentando cose nuove. Insomma. Vivendo. in fondo è un po’ la filosofia del nostro magazine Generazione Over 60.
Il titolo di una piacevolissima serie poliziesca di qualche anno fa (New Tricks – Nuove tracce per vecchie volpi) s’ispirava a un vecchio proverbio inglese il quale afferma che non si possono insegnare nuovi trucchi a un cane vecchio. Un proverbio già ampiamente smentito dai maturi e strampalati protagonisti della serie, che utilizzavano le loro capacità e la loro esperienza per venire a capo di vecchi casi. E oggi la smentita è confermata dalla scienza. Insomma, anche se non siamo più di primo pelo, come ci ricorda la sigla di New Tricks (www.youtube.com/watch?v=_w9AAL8GeXM ) va tutto bene: abbiamo ancora molto da dire.
