E se leggere fosse un modo per “passare al setaccio la propria vita”? E rileggere la maniera di passarla al vaglio? Perché la vita può essere equiparata a ciò che resta dopo la macinatura
Di Andrea Tomasini – giornalista scientifico

La sera mi piace addormentarmi dopo aver letto pagine di una storia in cui sono entrato. Un racconto che setacciando il mio animo lasci andare la polvere prodotta dall’attrito del vivere con il mondo – l’erosione del tempo- e lasci così in evidenza cose che in questa polvere erano nascoste. Questioni che nei pur fini fori del setaccio per intrinseche dimensioni della grana e loro consistenza non passano. Faccende – in senso etimologico- e stati d’animo che inducono sincizi con cui fare i conti.
Sì. Setacciare la propria vita. Anche per questo leggo, per far affiorare e scoprire cose che non sapevo di essere e di avere.
Leggo per vedere se ci sono cose nuove e, nel caso, guardarle.
Rileggo per passarle al vaglio, provare a capire se quelle novità – a distanza di tempo- non siano cambiate di consistenza e ora transitino attraverso il setaccio, cadendo nel mucchio della polvere della vita, oppure mantengano ancora la loro granulosità che nella cernita le rende visibili e distinte dal resto.
La vita forse è ciò che resta dalla macinatura, quella sostanza polverulenta che a mano a mano transita, s’accumula e finisce sotto, oltre il fondo del setaccio.
Leggo per vivere – mi diverto e faccio i conti con il principio di realtà.
La mattina mi piace riaprire il libro e riprendere a leggere là dove la sera avevo lasciato il segno. Sulla pagina le cose scritte – che sono segni- leggendole riacquistano sia l’essere sia il tempo…
