Generazione F Con la mente a zonzo

Per questa attività, praticata soprattutto in agosto o comunque quando ci si trova in vacanza, non occorre alcuno strumento o accessorio. E’ sufficiente una sdraio al sole, il divano di casa propria o anche il paesaggio che si ammira camminando. In un attimo ci accorgiamo di immergerci in un’occupazione che ci accomuna tutti, chi più chi meno. E’ il momento dei ricordi, dei pensieri, delle riflessioni. Spesso in arrivo all’improvviso, all’inizio come fossimo in una sorta di dormiveglia che, se solo lo desideriamo, possiamo mettere via via più a fuoco.

 D’accordo, a questo punto è quasi obbligatorio citare le madeleinettes di Proust: quando un odore, un sapore o un oggetto evocano in noi un ricordo del passato. Oggi il romanzo dello scrittore francese “Alla ricerca del tempo perduto” viene addirittura considerato come il grimaldello per accedere al complesso mondo delle neuroscienze. In pratica, Marcel Proust contrapporrebbe alla memoria involontaria quella volontaria, che agisce nel momento in cui recuperiamo il passato con un atto di volontà, ad esempio quando studiamo un argomento storico.

Ma senza addentrarci in ipotesi dotte, a chi non è capitato di visitare un luogo dove non siamo mai stati, e avere però la netta impressione che ci sia familiare? Qualcosa che pensiamo di aver dimenticato, perduto per sempre ecco ritornare, come una nuova scoperta. Memoria, perdita, ritrovamento si inseguono continuamente e, solo quando si incontrano, riescono a riconoscersi e darsi un senso.

A me una frase è restata per sempre impressa leggendo uno dei libri dell’amato Hermann Hesse. Non si trova in “Siddharta” (che, a dir la verità, non è fra i miei volumi preferiti dello scrittore) ma in “Narciso e Boccadoro”. La frase che mi venne spontaneo ripetere a voce alta quando nella testa riaffiorò, più inaspettato che mai, un certo ricordo è questa: “Da profondità infinite e perdute sbocciavano i fiorellini del ricordo”. Semplice ed esemplificativa al massimo. Perfetta.

Narciso e Boccadoro (1930)

Dove ha casa la memoria all’interno del cervello?  I ricordi sono conservati primariamente nella corteccia cerebrale, e il centro di controllo che genera il ricordo si trova all’interno del cervello. Per la precisione, la sala di comando della memoria è nell’ippocampo e nella corteccia entorinale che lo circonda.

Una ricerca tedesca di qualche anno fa è riuscita addirittura ad individuare non solo il luogo esatto della nascita del ricordo, ma perfino se, generato dalla corteccia cerebrale, si è diretto verso l’ippocampo, oppure se ha compiuto il percorso opposto.

E perché alcune persone ricordano più di altre? Intanto, è noto che esiste la memoria selettiva, grazie alla quale scegliamo che cosa ricordare. In altre parole, la nostra mente compie un lavoro continuo per cui tende a immagazzinare solo ciò che per noi è importante e a scartare quello che non è strettamente necessario. Ecco perché non ricordiamo gli stessi dettagli che ricorda un’altra persona.

C’è poi da considerare che lo spazio a disposizione è limitato. Quando da studenti ci trovavamo ad esclamare stizziti “ma non mi ci può stare tutto dentro!”, in realtà esisteva più di un fondamento di verità: la nostra mente non ricorda tutto perché deve lasciare spazio ai nuovi ricordi. Alcuni ricercatori dell’Università di Toronto hanno dimostrato come la memoria si serve di due funzioni: una che serve per immagazzinare e l’altra utile per dimenticare. I neuroni che dimenticano hanno origine nell’ippocampoe si generano quando siamo molto piccoli (ciò spiega, per esempio, perché solitamente ricordiamo molto poco dei primi tre/quattro anni di vita).

La maledizione di ricordare tutto.  E poi c’è la’ipertimesia o sindrome ipertimesica (conosciuta anche con l’acronimo  HSAM, da Highly Superior Autobiographical Memory): una condizione che conduce la persona a possedere una memoria autobiografica superiore, tale da permettere il ricordo di gran parte degli eventi vissuti nella propria esistenza.

I ricercatori che, nel 2006, hanno descritto per primi la sindrome l’hanno classificata rifacendosi ai termini in lingua greca  iper (eccessivo) e thymesis (ricordare). L’individuo ipertimesico riesce a rammentare dettagliatamente quasi ogni giorno della propria esistenza, così come gli eventi pubblici che abbiano per lui un significato personale. I ricordi vengono descritti come associazioni incontrollabili e vivide rappresentazioni, “viste nella testa”, che emergono inconsapevolmente e senza esitazione.

Vabbè, ero partita dalle innocue e rassicuranti madeleinettes proustiane e (deformazione professionale da giornalista scientifica) e sono arrivata a parlare della condanna di chi non può fare a meno di ricordare ogni particolare della propria vita, compreso il pranzo consumato un giorno qualsiasi di anni e anni prima…

Certo, a tutti piace crogiolarsi nei ricordi piacevoli, anche se qui, ahimè, non esiste democrazia: molti di noi ne hanno a disposizione un numero molto maggiore rispetto ad altri. Tuttavia- questa è almeno la mia convinzione – diventiamo gli Over che siamo anche in conseguenza di quanto di “non piacevole” abbiamo dovuto, e soprattutto voluto, affrontare e superare. Insomma, per quanto mi riguarda non vorrei cancellare per sempre i brutti ricordi per aggrapparmi alle memorie gratificanti. Anche perché, com’è noto, la mente mente. Spesso a nostra insaputa.

Forse allora non sbagliavo del tutto quando da ventenne – all’epoca della mia “attività poetica”- scrivevo: Nell’inaspettato disordine di un lungo minuto fingo di cercare la meravigliosa calma delle mie ore false. Il titolo di questi versi, se non ricordo male… era ”Ricordi”.

                                                                                        Minnie Luongo

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